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Omicidio Daphne Galizia: quel vascello dei trafficanti nella secca al largo di Valletta
A sole 12 miglia a est di Malta c’è una comoda secca per ancorarsi appena al di fuori dalle acque territoriali, dove i trafficanti si possono incontrare per scambiare ogni genere di merce
10 Ottobre 2018
Cecilia Anesi
Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino

Marsa, l’insenatura più profonda del Grand Harbour di Valletta, è il vero porto di Malta. Una selva di pescherecci e rimorchiatori. E dietro, nell’ombra, moli di magazzini fatiscenti e capannoni arrugginiti. È qui che trafficanti di droga, sigarette e gasolio hanno il loro covo. Perché l’isola non offre soltanto l’expertise fiscale e finanziaria in grado di dissimulare provenienza e destinazione di capitali, ma anche consulenti marittimi in grado di mutare nome e bandiere alle barche in un battibaleno. Perché a sole 12 miglia a est di Malta c’è una comoda secca per ancorarsi appena al di fuori dalle acque territoriali, dove i trafficanti si possono incontrare per scambiare ogni genere di merce.

Le autorità maltesi – come documentato da Repubblica e IRPI per il Daphne Project nell’aprile scorso – non intervengono perché quelle sono già acque internazionali e i contrabbandieri – nei casi in cui vengono fermati da italiani, spagnoli o greci – sono sempre protetti da bolle d’accompagnamento contraffatte o dal nome di qualche azienda lontana, sia essa nelle Isole Marshall o tra le macerie della Libia. E a marcire dietro le sbarre finiscono solo i marinai di equipaggi messi assieme da agenzie di reclutamento online.

Daphne Caruana Galizia lo aveva capito. E poco prima di venire assassinata il 16 ottobre 2017 aveva iniziato a indagare il mondo dei trafficanti. IRPI, nell’ambito del Daphne Project coordinato da Forbidden Stories, ha proseguito la sua ricerca. E ha scoperto che Marsa se è stato il luogo dove i killer di Daphne avevano il loro rifugio, è anche il luogo dove è stato organizzato l’ultimo viaggio di contrabbando di hashish del Mediterraneo.

Il battello dei trafficanti

È il quattro giugno e a tagliare le onde del mare di fronte a Capo Bon, Tunisia, c’è un grosso peschereccio bianco e blu con il nome “Quest”. È dipinto di fresco. Ha lasciato Malta per l’Algeria, ma appena raggiunto il golfo di Oran, di fronte alle coste marocchine, ha repentinamente invertito la rotta per dirigere verso Alessandria d’Egitto. A bordo non c’è nessuno occupato con reti da pesca e la barca naviga insolitamente lungo una linea retta, con rotta costante. Ricorda una nave cargo che ha fretta di giungere a destinazione, più che un’imbarcazione in cerca di pesce, che navigherebbe disegnando cerchi concentrici.

I militari del Reparto Operativo Aeronavale di Messina della Guardia di Finanza, guidati dal Colonnello Cristino Alemanno, la stanno osservando. Le si avvicinano a bordo del pattugliatore Monte Sperone. «Siamo un motor yacht», risponde via radio il capitano della Quest, tentando di non destare sospetti. Dopo 40 ore di navigazione affiancata, la Gdf riceve il permesso dall’Olanda – lo stato di cui batte bandiera la Quest – per abbordarla. Sottocoperta, dentro la cella frigo, è la ragione di un comportamento così anomalo: 10 tonnellate di hashish.

I cambi di rotta

Prima della caduta di Gheddafi – febbraio 2011 – l’hashish marocchino entrava principalmente dalla Spagna. Poi, dal 2013, un cambio di strategia: le navi della droga hanno iniziato a tenere una rotta lungo il Nord Africa e dirigersi soprattutto a Tobruk, nella Libia orientale. Tobruk è diventato il luogo di stoccaggio ideale, dove l’hashish viene protetto da milizie che nessuno è in grado di contrastare. Da lì, viene caricato su piccole imbarcazioni che lo portano fino ai balcani, da cui poi entra in Europa via terra.

«Non sappiamo ancora esattamente come l’hashish raggiunga l’Europa da Tobruk, ma casi recenti evidenziano anche un ruolo, quali finanziatori, di esponenti della criminalità organizzata italiana e maltese», spiega il colonnello Giuseppe Campobasso, l’Ufficiale della Guardia di Finanza che dirige il Gruppo Operativo Antidroga del Nucleo PEF di Palermo e che partecipa all’operazione “Libeccio International”.

Sicuramente c’è stato un cambiamento logistico. Da navi cargo gestite da siriani, adesso l’hashish viene trasportato per lo più a bordo di pescherecci riconducibili ad armatori maltesi o italiani. «La collaborazione tra forze di polizia di Italia, Spagna, Grecia e Francia ha potuto delineare come l’asse del traffico di hashish sia oggi molto più vicino a Malta e all’Italia», spiega Campobasso. E il caso della Quest lo conferma.

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Gli intoccabili, la bomba e la mafia

C’è un gruppo di criminali a Malta, i Maksar, che gestisce i traffici più redditizi e può vantare contatti con cosa nostra. Secondo testimonianze inedite hanno fornito la bomba che ha ucciso la giornalista Daphne

«Abbiamo identificato la Quest come potenziale nave contrabbandiera analizzandone la rotta», spiega il Comandante Cristino Alemanno che partecipa all’operazione “Libeccio International” di contrasto al traffico di stupefacente via mare. «Un peschereccio d’altura che lascia Malta e si aggira in quello specifico golfo del Marocco non può che destare sospetti. È proprio in quel punto che l’hashish viene caricato da gommoni o imbarcazioni più piccole a bordo di navi più grandi. Durante alcuni controlli successivi abbiamo scoperto che il nome M/Y Quest (Motor Yacht Quest) è legato anche ad un’altra barca, un vero yacht. Il nome – che è stato cambiato appena prima di questo viaggio – è stato chiaramente scelto per confondere le acque».

C’erano una volta un irlandese, un ucraino e un maltese

Il Daphne Project, grazie alla collaborazione con il centro di ricerche americano C4ADS, ha avuto accesso a documenti che dimostrano un legame tra tre uomini: un maltese, Paul Attard; un irlandese, Joseph O’Connor e un ucraino, Mykola Khodariev. I tre sono riconducibili ad una rete di contrabbandieri di base a Malta. Paul Attard, classe 1978, è un nome bisbigliato con timore al porto di Marsa. Il cittadino comune non lo conosce, ma nel mondo marittimo tutti sanno chi sia, seppure nessuno voglia indicare come trovarlo.

I marinai dell’equipaggio della Quest, arrestati con l’accusa di traffico internazionale di droga, sono in custodia cautelare in Italia. E sette di loro hanno deciso di collaborare, indicando in Paul Attard il vero proprietario della barca e l’organizzatore del viaggio. «Assisto il motorista della Quest e un altro marinaio, macchinista, entrambi ucraini”, dice l’avvocato catanese Antonio Giuffrida. «Sono stati assunti per navigare dalla Danimarca a Malta, e poi mantenuti a bordo dal nuovo proprietario, Paul Attard della Patron Group. Hanno sempre e solo seguito gli ordini impartiti e non avevano idea che la barca stesse caricando hashish».

C’è un uomo dell’equipaggio che è rimasto in silenzio. È David Bonello, parente stretto di Paul Attard. Sulla carta, ufficiale in seconda. In realtà, comandava le operazioni in diretto collegamento con il parente. Bonello e Attard sono ora indagati come responsabili del carico di hashish.

Per Giuseppe Cavallaro, legale di Attard, l’armatore non ha nulla a che vedere né con la nave, né con il suo carico: «Ho già consegnato alla Procura tutte le prove che dimostrano come il mio cliente non c’entri assolutamente nulla».

«Se sapeste controllare la storia dell’imbarcazione – sbraita Attard al telefono – vedreste che io non ne sono il proprietario. Un mio amico libico mi ha chiesto di aiutare un ucraino che cercava una barca a Malta, e così io l’ho messo in contatto con il migliore broker di navi che conosco, Joseph O’Connor. Poi l’ucraino aveva bisogno di un equipaggio e così io glielo ho procurato». «Ma – garantisce Attard – non c’entro nulla né con la nave né, tanto meno, con il suo carico».

Il venditore di navi

Il venditore di navi raccomandato da Attard è il terzo nome legato alla Quest, il 67enne irlandese Joseph Anthony O’Connor, che ha fatto di Malta la sua nuova casa. Da una vita O’Connor compra navi scassate, le aggiusta e le rivende. Un lavoro che gli ha però creato grane giudiziarie in Spagna, Stati Uniti e Malta.

È stato imputato e poi assolto per traffico di hashish quando, nel 2005, una barca che aveva da poco rinnovato e venduto in Spagna, è stata fermata con un carico di hashish a bordo.

Nel 2007, invece, è stato condannato a pagare una multa di 70mila dollari per avere inquinato la baia di San Diego durante la ristrutturazione di un grosso peschereccio. L’aveva acquistato all’asta dopo che la barca era stata fermata in quello che all’epoca fu definito «il più grosso sequestro di cocaina degli Stati Uniti». A Malta, O’Connor è stato multato più volte per non avere pagato le tasse di ancoraggio.

E poi c’è il caso della Quest. Prima di essere fermato, il peschereccio è stato ristrutturato al Il-Mol Tal-Pont di Marsa, dove O’Connor ha la sua base operativa. Raggiunta al telefono, la segretaria di O’Connor ha fornito un indirizzo a Mosta, nell’interno dell’isola. Ma quando O’Connor ha risposto al campanello e capito che di fronte aveva giornalisti e non acquirenti, ha reagito aggressivamente, mettendo alla porta chi intendeva provare a fare delle domande.

Il terzo uomo

Raggiunto via email, O’Connor questa volta ha impiegato un legale per smentire con forza ogni coinvolgimento nel traffico di hashish, producendo un atto di vendita della Quest risalente al 16 maggio. Due elementi, però, non quadrano. Il primo: non è Malta Towage a vendere l’imbarcazione ma l’altra azienda dell’irlandese, la Britannia Shipping International. Secondo: l’acquirente sarebbe un ucraino di nome Mykola Khodariev. Due giorni dopo l’atto, Khodariev apre un’azienda di comodo in Inghilterra e la chiama Quest Shipping Ltd.

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Khodariev non appare in alcun documento ufficiale rinvenuto a bordo, ma durante l’ispezione la Gdf trova un foglio scritto a mano con un presunto armatore, ovvero la Quest Shipping.

In realtà Mykola Khodariev è un fantasma, che appare per la prima volta in Europa per acquistare la Quest. Per conto di chi, e con quali soldi?

Giro giro tondo

Ufficialmente quindi, Paul Attard non è il proprietario della Quest. È però, a tutti gli effetti, un armatore. Oggi ha intestato un solo rimorchiatore, ma in passato vantava una flotta, tra rimorchiatori, navi cargo e navi cisterna – o possedute direttamente o prese in affitto. Negli anni, ha preferito lavorare sempre più da dietro le quinte e questo perché i suoi rimorchiatori sono ormai ritenuti «a rischio» per avere trainato imbarcazioni con carichi illegali. Gli inquirenti credono che Attard abbia messo a punto un trucco per evitare di finire nei guai direttamente: se il carico illegale sta su una barca in avaria, cosa può saperne chi la traina?

In effetti, a scontare il carcere sono troppo spesso solo gli equipaggi, che vengono arrestati in flagrante senza essere le vere menti del traffico. È raro che gli armatori vengano chiamati in causa, o – ancora peggio – identificati. Emblematico è il caso di luglio 2017, quando le autorità spagnole hanno sequestrato 6.800 scatole di sigarette. E anche questa volta tutto ebbe inizio nella secca maltese di Hurd’s Bank.

A giugno di quell’anno la Med Patron, un cargo riconducibile ad Attard, aveva lasciato gli ormeggi a Bar, in Montenegro, per incontrarsi con due navi nell’area che si estende a partire da 10 miglia a est di Malta. Si trattava della Eisvogel – noleggiata da Attard – e di una piccola nave cargo, la Falkvaag. La Falkvaag è una carretta che era arrivata a Malta da Zuwara, Libia occidentale, a marzo 2016. Sospettata di traffico di migranti da Frontex, fu fermata più volte nel Mediterraneo ma senza che si trovasse mai alcun carico illecito. Quel che è certo è che a Malta ci arriva perché ha bisogno di manutenzione, e viene così affidata ad Attard dai suoi proprietari libici. Un anno dopo, nell’estate 2017, viene decisa la sua destinazione finale: la demolizione in Spagna. Ma farla viaggiare vuota viene considerato uno spreco, e così a fine giugno viene trainata da Attard fino a Hurd’s Bank. Lì incontra la Med Patron che le passa il carico di sigarette. Il passaggio ship-to-ship è insolito, ma non illegale in acque internazionali. Ma per le dogane spagnole è stato fatto «in maniera del tutto inappropriata». Infatti, non appena la Falkvaag, trainata dalla Eisvogel, raggiunge le acque spagnole le due navi vengono poste sotto sequestro, e l’equipaggio arrestato. Ad oggi, i marinai restano in carcere, mentre gli armatori non risultano indagati.

Paul Attard giura di avere la coscienza pulita. «Avevo noleggiato la Eisvogel da un armatore italiano», dice. «Ma durante il periodo del sequestro non la stavo più noleggiando». E aggiunge: «La nave cargo Med Patron non è mai stata mia. Era della Safe Harbour Navigation Ltd». Eppure, stando ai database marittimi, dal 2014 la nave è della storica azienda di Attard, la Patron Group.

Uno schema consolidato

Le disavventure in cui incappano le navi di Attard rappresentano in realtà un vero e proprio Sistema. Oltre al caso della Quest e della Eisvogel, ce ne sono altri in cui a pagare è stato solo l’equipaggio.

È il 27 agosto 2015 e, al largo delle coste di Zuwara, una petroliera di 68 metri, la “Sovereign M”, viene fermata dalla Guardia costiera libica. Il tribunale di Tripoli ne condanna l’intero equipaggio per traffico illegale di gasolio. Resteranno in carcere in condizioni inumane fino al marzo scorso. A possedere la nave è la famiglia dei Mizzi, noti “compro oro” dell’isola che hanno deciso di investire nel mondo marittimo. A gestire la nave sarebbe però la “Patron Group” di Paul Attard. E quando la petroliera viene persa in Libia, Mizzi trascina Attard in tribunale chiedendogli un risarcimento di un milione di dollari. Avrebbe violato il contratto d’affitto, mandando la “Sovereign M” fino in Libia.

«La Sovereign l’avevo noleggiata ma solo per portare il gasolio da Malta alla Sicilia. Quella di mandarla in Libia è stata una decisione di Silvio Mizzi. Era lui in contatto con il capitano», dice Attard. I Mizzi, proprietari anche di una bettolina sequestrata l’estate scorsa ad Augusta sempre per traffico di gasolio, hanno preferito non commentare.

Il covo

C’è un luogo che ritorna nelle storie dei trafficanti: è Il-Mol Tal-Pont, il molo dove la Quest è stata rimessa a nuovo a primavera scorsa. La strada che lo disegna segue il profilo di un’aquila in picchiata, costeggiata da edifici in tufo e capanne in lamiera. È la parte del porto che i turisti non vedranno, un mondo nascosto che deve restare tale. Impossibile scrutarlo dalla terra ferma, è difeso dalle mura degli antichi magazzini doganali in disuso e circondato da uno scudo di pescherecci e rimorchiatori. A questo molo sono ormeggiate le barche di Attard e, nella parte finale, quella più riservata e protetta da un cancello, ci sono i pescherecci di O’Connor. Poco prima della cancellata ci sono dei magazzini di lamiera arrugginita, sono i potato shed dove i fratelli Alfred e George Degiorgio e il loro complice Vince Muscat hanno preparato l’omicidio di Daphne Caruana Galizia.

«Siamo in una battaglia vera, una guerriglia, nella quale ogni singolo scontro può essere vinto solo con la cooperazione internazionale», dice il comandante del Gruppo antidroga della Gdf di Palermo, Giuseppe Campobasso, nel tirare le somme di Libeccio International. Un luogo da colpire è sicuramente Marsa, il covo dei contrabbandieri maltesi. A farsi un giro ora si vedono molti pescherecci attraccati, ma non sono abbandonati: gli equipaggi abitano a bordo. «Stanno lì in attesa di ordini, pronti a partire per il primo viaggio deciso da qualche trafficante», afferma una fonte con una lunghissima esperienza nel settore marittimo sull’isola. «State attenti con questo mondo – ammonisce -. Perché in fondo chi pensate abbia ucciso Daphne?».

Il mondo di sotto e gli assassini di Daphne

Già. E del resto, un filo tra il Mondo di Sotto dei traffici e gli esecutori materiali dell’omicidio di Daphne – Vincent Muscat e i fratelli George e Alfred Degiorgio – esiste e può essere trovato. Il Daphne Project ha avuto accesso a materiale confidenziale che prova come i Degiorgio, all’epoca dell’omicidio e in tempi precedenti, fossero in stretto contatto con un pescatore di tonno che attracca anch’esso lungo il molo Tal Pont: Pierre Darmanin.

Darmanin non è immune al mondo dei traffici, da cui però per ora è uscito sempre pulito. La sua “Crystal Starlight” fu fermata per contrabbando di sigarette, ma oggi ufficialmente caccia il tonno nei mari a sud di Malta. Poi l’uomo ha acquistato un peschereccio da un contrabbandiere di gasolio che ha perso due gambe in un’autobomba, e ha venduto una bettolina a Gordon Debono, a processo a Catania sempre per traffico di diesel.

Darmanin – si vocifera tra i pescatori, è noto per contrabbando di gasolio e anche Daphne ne aveva scritto. Ed è Darmanin l’uomo che – come ha rivelato lunedì scorso il Daphne Project – dopo aver interloquito con Daphne nell’ottobre del 2016 in occasione di un suo articolo sui regolamenti di conti nel mondo del contrabbando di gasolio, ha contattato prima il ministro dell’Economia maltese Chris Cardona e quindi Alfred De Giorgio, uno degli uomini che ucciderà Daphne l’anno successivo, il 16 ottobre 2017. Una coincidenza?

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino

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Foto

Cecilia Anesi