#PiratiDelMediterraneo
Cecilia Anesi
Ahmed Eid Ashour
Sameh Ellaboudy
Maher Shaeri
Il sole stava tramontando sul porto di Latakia, in Siria, mentre una nave portacontainer salpava direzione Libia orientale. Era il 2 dicembre 2018 e la Noka, carica di merci provenienti da Damasco, viaggiava con una sorpresa. Nascosti in un doppiofondo e coperti da spezie, caffè e segatura c’erano due carichi speciali: sei tonnellate di hashish e tre milioni di pillole di captagon, una droga sintetica molto popolare in Medio Oriente.
Chi pilotava la portacontainer ne era al corrente. Infatti, appena superata l’isola di Cipro il comandante aveva spento il sistema di identificazione automatica (a.i.s) sparendo così dai radar. Ma, grazie ad una soffiata e al supporto aereo da parte di Frontex (l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera), il 5 dicembre 2018 la guardia costiera greca intercettava la nave battente bandiera siriana all’altezza di Creta, abbordandola, sequestrando la droga e arrestando l’intero equipaggio.
Era il sequestro di captagon più grande mai portato a termine dalle autorità greche: la prova che il traffico di captagon era esploso nel bacino del Mediterraneo dopo il caos delle rivolte della primavera araba del 2011.
“Captagon” è il nome dato alla sostanza psicotropa, chimicamente cloridrato di fenetillina (un composto derivato dal legame tra amfetamina e teofillina), inventato nella Germania occidentale degli anni ‘60 per trattare il disturbo da deficit di attenzione (ADHD, ndr), la narcolessia e la depressione. Bandito negli anni ’80, il captagon viene illegalmente sintetizzato in Medio Oriente e consumato in particolare negli Stati arabi del Golfo Persico come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e, più recentemente, tra i combattenti in Siria.
Costruisci con noi l’informazione che meriti!
L'inchiesta
Le pasticche di captagon prodotte oggi, illegalmente, si allontanano dalla formula originale, combinando l’anfetamina con sostanze come caffeina, teofillina e paracetamolo. Ma le compresse continuano ad assomigliare alle originali, marchiate con il logo della doppia “C”, facendogli guadagnare il soprannome “Abu Hilalain”, in arabo “padre delle due mezzelune”.
Durante gli ultimi dieci anni, la Siria è divenuta a tutti gli effetti il principale produttore di captagon del Medio Oriente e il porto di Latakia è il cuore pulsante del traffico
Durante gli ultimi dieci anni, la Siria è divenuta a tutti gli effetti il principale produttore di captagon del Medio Oriente e il porto di Latakia è il cuore pulsante del traffico: è da qui che sono partiti la maggior parte dei carichi sequestrati nei porti libici, italiani, greci e rumeni. Il più grande carico sequestrato ad oggi è stato scoperto dalla Guardia di Finanza nel porto di Salerno, a giugno 2020. Ben 14 tonnellate di pasticche di captagon nascoste in bobine di carta. Valore stimato al dettaglio, un milione di euro. Un florido commercio, quello del captagon, cresciuto negli ultimi anni assieme al sospetto che dietro questo business milionario si celino milizie e faccendieri legati al regime siriano.
Grazie all’esame di documenti giudiziari greci, italiani e libici, dati di registrazione delle società e dati di tracciamento delle navi e interviste esclusive, OCCRP e IrpiMedia possono svelare dettagli inediti su una rete di criminali siriani e società di comodo collegate tanto alla Noka quanto al più ampio traffico di captagon nel Mediterraneo.
#PiratiDelMediterraneo
Il caso Bonnie B e la flotta contesa
Da un procedimento giudiziario si scopre il tentativo di uomini di mare di aggiudicarsi alcune delle navi protagoniste di episodi di contrabbando tra Libia, Malta e Italia dal 2015 al 2017
Migranti e gasolio, la rete degli armatori della flotta fantasma
Navi, società, equipaggi e contatti con cosa nostra: da Malta a Dubai passando per l’Italia. Così opera il cartello dei trafficanti di uomini e gasolio tra accordi e guerre interne
Migranti e gasolio, il cartello dei trafficanti coinvolto nella strage di Pasquetta
Il 13 aprile 2020 12 migranti sono morti in mare. Tre navi private coordinate dal governo di Malta hanno riportato i superstiti in Libia. Appartengono a una cartello di trafficanti di gasolio su cui indaga la Dda di Catania
Si parte dalla città portuale di Latakia, che dall’inizio del conflitto siriano è rimasta sotto il controllo del governo di Assad ed è oggi pattugliata dalla famigerata Quarta Divisione dell’esercito, un’unità speciale guidata dal fratello del presidente Bashar Al-Assad, Maher Al-Assad.
Ma a risalire la china della Noka, si arriva fino all’Italia. Perchè in un passato non troppo lontano il suo armatore, un siriano di nome Taher Al-Kayali, viveva proprio in Italia. Da Sanremo gestiva una agenzia marittima, la Fenikia International, con cui però – secondo due diverse procure italiane – organizzava spedizioni illegali: auto di lusso e imbarcazioni di lusso rubate.
Oggi Alkayali vive a Latakia, dove possiede una caffetteria nel porto turistico di Latakia, grazie all’appoggio di Mudar Al-Assad, cugino di Bashar Al-Assad, la cui società controlla un porto per yacht di lusso e un complesso turistico.
L’ultimo passo è la Libia, dove risiedeva chi avrebbe ricevuto il carico di captagon della Noka: una gang attiva tra Siria e Libia di cui quattro membri sono stati condannati a morte a Bengasi proprio per il caso della Noka, e per altre carichi illeciti ricevuti in precedenza.
Alkayali il contrabbandiere
L’armatore della Noka, Taher Alkayali, 60 anni, ha vissuto due vite. La prima, in Italia, passata tra Sanremo e Torino, dove vive ancora la ex-moglie italiana e i loro due figli. La seconda in Siria, da latitante, iniziata nel 2015. È infatti quello l’anno in cui viene condannato dal Tribunale di Pesaro per un traffico di imbarcazioni di lusso che Alkayali avrebbe diretto prima dall’Italia, e poi da acque internazionali, a bordo proprio di uno degli yacht rubati.
Un business, quello della ricettazione di beni di lusso, che Alkayali aveva già iniziato da tempo. Infatti nel 2007 la polizia italiana lo arresta con l’accusa di guidare un gruppo di malviventi che contrabbandandavano auto di lusso rubate e spedite tramite il porto di Rotterdam, nei Paesi Bassi, verso Emirati Arabi e Giappone. Una vicenda che lo porta nel 2010 a una condanna definitiva da cui si salverà grazie all’indulto.
Nel 2013 però sarà un’indagine dei carabinieri di Pesaro a rimetterlo di nuovo nei guai. Questa volta Alkayali è accusato di essere a capo di un’associazione a delinquere che ruba yacht di lusso in Italia, e li vende a ricchi clienti in Medio Oriente.
A gestire gli “ordini” sono Alkayali e un altro siriano non identificato dagli inquirenti, noto solo come “John” e di stanza ad Alessandria d’Egitto. Con loro c’è un altro italiano, Enrico Luidelli che gestisce i furti con una serie di skipper pronti a rubare le barche dai porti turistici italiani e salparle direzione Grecia, Egitto, Turchia.
L’armatore della Noka, Taher Alkayali, 60 anni, ha vissuto due vite. La prima, in Italia, passata tra Sanremo e Torino, dove vive ancora la ex-moglie italiana e i loro due figli. La seconda in Siria, da latitante, iniziata nel 2015
Milioni di euro guadagnati a danno delle compagnie di assicurazione di imbarcazioni grazie anche, alcuni casi, anche alla connivenza dei proprietari stessi. Soldi che non sono mai stati trovati perchè i carabinieri non sono mai riusciti a rintracciare Alkayali, condannato in contumacia nel 2015 a sei anni e mezzo di prigione per furto e ricettazione. Alkayali da allora è rimasto al sicuro a Latakia.
Raggiunto via e-mail da OCCRP, Kayali si è difeso dicendo che la condanna di Pesaro è «purtroppo vera», ma che la procura aveva travisato la realtà. «L’Italia è la mia seconda casa» e – ha spiegato – il caso delle auto di lusso rubate era stato un colpo di sfortuna. Avrebbe semplicemente acquistato una BMW X6 da una persona che l’aveva poi denunciata come rubata alla compagnia assicurativa.
Il caso del furto di yacht invece, ha aggiunto l’uomo, si basava su un malinteso. Alcune persone avevano acquisito degli yacht in Italia e ci avevano viaggiato verso il Medio Oriente «usando documenti considerati legali qua (in Medio Oriente), ma illegali in Italia». Alkayali nega anche di avere a che fare con il traffico di droga, definendo la sua attività di commercio marittimo lecita.
Alkayali per navigare ha registrato alcune società offshore a Londra. Non solo una versione inglese della Fenikia International ma anche un’altra azienda marittima, Neptunus Overseas Limited, aperta a marzo 2017 presso il civico 27 di Old Gloucester Street, un edificio residenziale di quattro piani usato da centinaia di società bucalettere.
Sempre nel 2017 ha aperto anche a Latakia una società chiamata Neptunus LLC, un’agenzia marittima che gestisce navi e ne fornisce anche alcune in affitto. Alle autorità portuali di Latakia risulta che la Neptunus LLC sia di Taher Alkayali e di un socio chiamato Yasser Al-Sharif, un nome su cui però i reporter non sono riusciti a trovare alcuna informazione.
Quel che è certo è che il 3 novembre 2018 Alkayali abbia utilizzato la Neptunus siriana per acquistare la portacontainer Noka da una società libanese, la Medlevante Overseas Ltd, che la possedeva da pochi mesi.
Nel rispondere alle domande di OCCRP, Alkayali ha dichiarato di avere affittato la Noka ad una società siriana chiamata Lamira Company che la doveva usare per offrire un collegamento, la Lamira Line, per connettere Latakia a Bengasi, in Libia, e Latakia ad altri porti del Mediterraneo.
Le proprietà di Noka
L’assetto proprietario della nave Noka il cui armatore risulta essere Taher Al-Kayali

La procura greca che ha fermato la Noka, ha potuto analizzare le bolle di accompagnamento dei container contenenti la droga, scoprendo come erano stati inviati dalla società Daboul e Mufti, con sede appena fuori Damasco, e da Mohammad Hani Abdeen da Damasco – uno degli uomini poi condannati a morte per il suo coinvolgimento nel carico illecito della Noka, e in altri presunti traffici, dal tribunale di Bengasi. Daboul e Mufti è un’azienda che produce agenti chimici, tra cui un detergente che era stato usato nei container caricati sulla Noka per mascherare l’odore della droga.
Alkayali giura di non essere implicato nella vicenda. Da quando Lamira Company aveva affittato la sua nave, ha detto, la barca ha fatto due viaggi commerciali da Latakia a Bengasi. Ed è stato durante questo secondo viaggio che è stata fermata dalla guardia costiera greca che ha trovato «oggetti proibiti» – un riferimento al carico di droga – messi dentro e fuori container.
Alkayali per navigare ha registrato alcune società offshore a Londra
«Abbiamo collaborato a pieno con le autorità greche e siamo stati in grado di dimostrare l’innocenza sia dell’equipaggio (poi scarcerato) sia dell’armatore, ma dopo aver subito pesanti perdite economiche», ha detto Alkayali. «Inshallah (se Dio vuole), la nave rientrerà in patria come l’equipaggio, da poco rimpatriato. Per quanto riguarda le merci, abbiamo detto ai proprietari di farsele spedire dove vogliono». Alkayali ha poi augurato ai giornalisti di trovare «i veri criminali» smettendo di rispondere alle e-mail.
Secondo il database marittimo Equasis, l’impresa di Alkayali – la Neptunus – dal novembre 2018 risulta armatore, manager commerciale e responsabile della sicurezza a bordo della nave Noka. In breve, la Neptunus è legalmente responsabile di qualsiasi carico illegale venga trasportato dalla nave, anche se affittata ad aziende terze.
Chi c'è dietro la società Lamira Line?
Ma è difficile determinare chi abbia avuto l’effettivo controllo su quella linea marittima. La “Lamira Company” non risulta ufficialmente registrata né in Libano né in Siria.
Infatti, al di là di una presentazione su Facebook del dicembre 2018 postata dal Ministero dei trasporti della Siria, che ritraeva la Noka con la scritta “Lamira Line” nel porto di Bengasi a inizio novembre 2018, ci sono poche prove che la linea marittima sia davvero esistita.
Ad agosto 2018, il giornale libanese Al-Akhbar (vicino a Hezbollah, e alleato del regime siriano) ha pubblicato un breve articolo che annunciava l’inaugurazione della “Lamira Line” da parte della Neptunus di Latakia.
Ma Kayali ha dichiarato a OCCRP di avere affittato la Noka alla Lamira Company per servire la linea. Ha aggiunto anche che la sua azienda aveva fatto pubblicità per la Lamira Line, ma non ha voluto rivelare chi fosse il proprietario della Lamira Company.
Un documento giudiziario greco aggiunge un tassello: dai documenti a bordo la Noka risultava gestita dalla Li-Marine Inc, una società con sede sia a Beirut che a Latakia, il cui nome in arabo si scrive come “Lamira”.
Un responsabile di Li-Marine Inc. a Latakia contattato da OCCRP ha dichiarato che l’azienda era stata impiegata dalla Neptunes per eseguire un’ispezione tecnica della sala macchine e dello scafo della nave.
Un portavoce di Li-Marine a Beirut ha ulteriormente insistito sul fatto che l’azienda fosse distinta dalla Lamira Company siriana, dicendo di essere invece «una società libanese […] responsabile per la navigazione» e di avere un contratto con Neptunus. Alla richiesta di una copia del contratto, il portavoce ha indirizzato OCCRP a un account e-mail di Neptunus.
La fortezza della famiglia Assad
Con la crescita del commercio di captagon sono aumentati anche i sospetti rispetto al coinvolgimento del regime siriano in questo traffico. Latakia – la città portuale da dove è salpata la Noka e da dove operano le aziende di Alkayali – è conosciuta per essere il feudo impenetrabile di Assad. Nonché la zona di provenienza di gran parte del captagon prodotto al mondo.
Storicamente, il captagon illecito veniva sintetizzato in Europa orientale, Turchia e Libano. A seguito del conflitto Israele-Hezbollah del 2006 in Libano è iniziata una produzione massiccia perché Hezbollah aveva bisogno di ri-finanziarsi. Così, la Valle della Beqā che corre lungo il confine con la Siria, che già ospitava la produzione di hashish, si è riempita di laboratori per la sintetizzazione del captagon.
La guerra civile in Siria, iniziata ormai un decennio fa, ha poi segnato un punto di svolta: la domanda di captagon è aumentata tra i combattenti. La produzione si è così gradualmente spostata in Siria, favorita sia del caos causato dal conflitto sia dalle infrastrutture di produzione e trasporto (come strade funzionanti, elettricità e acqua corrente) che erano già sul posto. Infatti, prima dello scoppio della guerra, la Siria era uno dei maggiori produttori di farmaci in Medio Oriente.
La guerra civile in Siria, iniziata ormai un decennio fa, ha poi segnato un punto di svolta: la domanda di captagon è aumentata tra i combattenti
Dal 2013, i trend dei sequestri mostravano come la Siria fosse diventata «la nuova capitale mondiale del captagon», secondo un articolo pubblicato nel 2016 dal Journal of International Affairs della Columbia University. Con l’agricoltura, il petrolio e il terziario allo stremo, le esportazioni di droga sono diventate la principale fonte di valuta estera per la Siria.
Anche se dati ufficiali scarseggiano, il commercio di captagon si afferma come uno dei settori più redditizi per l’economia siriana. Il sequestro di 14 tonnellate di captagon operato dalla Guardia di Finanza a Salerno è stato quantificato in un miliardo di euro di valore, una cifra che supera l’intero ammontare delle esportazioni di merci legali dalla Siria che nel 2019 si aggirava sui 700 milioni di dollari.
Analizzando cinque spedizioni di droga partite dai porti siriani tra giugno 2019 e agosto 2020 – sequestrate in Grecia, Italia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Romania – il centro di analisi marittima Middle East and North Africa Maritime Development Program (MMDP), con sede a Londra, ha stimato il contrabbando di droga in partenza dai porti siriani in circa 16 miliardi di dollari all’anno.
Il prezzo di una pasticca di captagon può variare notevolmente in base alla qualità e al luogo in cui viene venduta. Si parte da pochi dollari in Siria (prezzo simile a quello precedente al recente crollo finanziario del paese), fino ad arrivare a 25 dollari a pillola negli Emirati. La stima fatta dalla Guardia di Finanza sul costo a pasticca diretta in Libia, invece, è di circa 12 euro.
Adnan Haj Omar, che guida la squadra di ricercatori di MMDP, ha spiegato che l’entità dei sequestri (e il fatto che siano stati tutti ignorati dai media statali siriani) suggerisce che dietro questo traffico ci sia una organizzazione criminale capace di influenzare le istituzioni e gli organi decisionali del Paese con connivenze all’interno del governo Assad.
La dogana siriana, a cui spetta il compito di controllare l’esportazione via mare, l’importazione e il transito di beni, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
La teoria di MMDP è condivisa anche da altri ricercatori. Il Journal of International Affairs, ha sottolineato come l’abilità di cambiare rapidamente le rotte del contrabbando in risposta a un aumento dei controlli sia indice di un supporto da parte del governo di Assad. Ad esempio, dopo il giro di vite da parte delle dogane turche nel 2015, sono state utilizzate rotte alternative che attraversano la Giordania e il Libano. Il report suggerisce che ci sia un coordinamento centralizzato per il traffico di captagon o che le organizzazioni criminali coinvolte siano coordinate tra loro, implicando ancora una volta un possibile supporto da parte del governo di Assad.
La dogana siriana, a cui spetta il compito di controllare l’esportazione via mare, l’importazione e il transito di beni, non ha voluto rilasciare dichiarazioni
Non a caso, ritengono i ricercatori, gran parte dei carichi di captagon partono da Latakia. Storicamente, le coste siriane sono il cuore pulsante della minoranza alauita della Siria, dalla quale proviene la famiglia di Assad, e la regione è stata leale agli Assad durante tutto il conflitto. Qardaha, città natale della famiglia Assad, è a meno di 30 km da Latakia. Questa città portuale è associata in particolare al fratello più piccolo di Bashar Al-Assad, Maher Al-Assad, che dirige la Quarta Divisione dell’esercito.
Un giornalista locale ha raccontato a OCCRP che «niente esce da questo territorio» senza l’approvazione delle truppe di Maher Al-Assad, aggiungendo che il commercio del captagon «è una grande fonte di guadagno per l’esercito e i miliziani che lavorano per loro».
Alkayali gestisce un cafè proprio in questa roccaforte di Assad, nella marina di Latakia, dentro al resort di proprietà un altro parente di Assad, il cugino Mudar Al-Assad.
I maggiori sequestri di captagon
- Ottobre 2015: un membro della famiglia reale saudita è arrestato all’aeroporto di Beirut dopo aver cercato di far uscire dal Paese due tonnellate di captagon sul suo aereo privato.
- Dicembre 2018: la Noka, dopo aver lasciato Latakia in direzione Libia, viene fermata dalla guardia costiera greca con un carico di oltre 100 milioni di dollari di cannabis e captagon a bordo.
- Luglio 2019: le autorità greche sequestrano un grande carico di captagon proveniente dalla Siria, con un valore di mercato di oltre mezzo miliardo di euro. I tre container sequestrati contenevano 5,25 tonnellate di pasticche.
- Febbraio 2020: gli ufficiali del porto di Jebel Ali di Dubai confiscano 35 milioni di pillole di captagon per un peso di oltre cinque tonnellate. Erano nascoste tra cavi elettrici.
- Giugno 2020: la Polizia italiana del porto di Salerno trova più di 14 tonnellate di Captagon, con un valore di mercato di circa 1 miliardo di euro, nascoste all’interno di bobine industriali di carta. Ad aprile era stato fermato un altro carico di 190 chili di captagon.
- Gennaio 2021: le autorità egiziane confiscano più di otto milioni di pillole di captagon e otto tonnellate di hashish in un container a Porto Said, una città all’estremità settentrionale del Canale di Suez.
- Marzo 2021: la dogana di Dubai sequestra quasi tre milioni di pillole di captagon al porto di Jebel Ali, nascoste in un container.
- Marzo 2021: le autorità malesi confiscano 94,8 milioni di pillole di captagon, con un valore di mercato di più di un miliardo di euro e dal peso di 16 tonnellate. Il sequestro viene fatto in seguito alla cooperazione con l’Arabia Saudita.
- Aprile 2021: l’Arabia Saudita confisca più di 5,3 milioni di pillole nascoste in carichi di melograni provenienti dal Libano. In risposta, l’Arabia Saudita impone un divieto di importazioni di prodotti libanesi.
- Maggio 2021: la Turchia confisca più di una tonnellata di pillole di captagon nascoste in 11 container al porto di Iskenderun, città a sud del paese.
I legami con la Libia
Dalla Siria, una parte del captagon viene portato via terra attraverso i Paesi confinanti, come Giordania e Iraq fino agli Stati arabi del Golfo Persico. Ma sono le rotte marittime che partono dai porti sulla costa siriana a rivestire l’importanza più strategica: perchè così i contrabbandieri evitano i controlli alle frontiere, e possono trasportare grandi quantità con meno rischi.
Nella scacchiera dei movimenti via mare di questa droga, la Libia riveste un ruolo fondamentale. è uno uno dei punti principali di stoccaggio e smercio del captagon. La maggior parte non è per il consumo locale, e infatti una volta arrivato lì viene trasportato via terra fino al vicino Ciad, Egitto o verso il Golfo Persico.
Il legame tra Siria e Libia nel traffico di captagon si è rafforzato dal 2014, quando il generale libico rinnegato Khalifa Haftar lanciò la sua campagna Operazione Dignità per liberare Bengasi dalle forze islamiche e riconquistare così gran parte della Libia orientale. Haftar e il regime di Assad si trovarono dalla stessa parte in una disputa geopolitica, entrambi sostenuti dalla Russia e contro forze militari sostenute dalla Turchia.
Nel maggio 2020, Fathi Bashagha, Ministro dell’Interno del governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite e sostenuto dalla Turchia con base a Tripoli, ha accusato il regime di Assad e Haftar di beneficiare del canale della droga che va dalla Siria alla Libia.
Un documento ottenuto da OCCRP e che è stato reso pubblico durante il processo a Bengasi relativo al carico della Noka, mostra il dietro le quinte del traffico di captagon. A tirare le fila, in Libia, è una banda di trafficanti guidata da Mahmud Abdulilah Daji, un siriano-libico che il tribunale ha condannato a morte, in contumacia.
Le rotte del captagon

Il 21 luglio 2019, la Corte d’Appello di Bengasi ha emesso un sentenza che accusa Daji – che adesso si trova in Siria – e i suoi aiutanti di essere coinvolti nel traffico di captagon della Noka, nonché di tre altri carichi di captagon fermati in Libia: uno al porto di Al Khums vicino Tripoli nella Libia occidentale, uno a Bengasi e un altro a Tobruk in Libia orientale.
La banda di Daji è stata individuata dopo che la Direzione della dogana a Bengasi scoprì un deposito che Daji affittava a Bouatney, un’area residenziale e industriale nell’est di Bengasi, sequestrando «un’enorme quantità di hashish» nascosta nel doppio fondo dei container – nascosta esattamente come la droga a bordo della Noka.
Secondo i documenti del tribunale, la spedizione è stata organizzata da Damasco da Mohammad Hani Abdeen (lo stesso uomo identificato dalle autorità greche come uno dei destinatari del carico della Noka) e diretta ad un’azienda di Bengasi chiamata “Libya East Company”, che aveva ricevuto il carico e sdoganato la merce per conto di Daji. Sempre secondo l’accusa, Daji ha impiegato due uomini in Siria come collaboratori: Mohammed Saad e Hashem Ajjan.
Per stoccare il carico l’azienda libica di Daji, la Al Tayr International Trading, ha affittato il deposito di Bouatney, pagando a un uomo del posto l’affitto mensile di 8 mila dinari libici (circa 5,7 mila dollari) un anno in anticipo. Per i giudici di Bengasi, Daji in persona solitamente arrivava in Libia due giorni prima dei carichi e se ne andava dopo che i container erano stati svuotati.
L’azienda che li sdoganava per lui, la Libya East Company, avrebbe anche corrotto i funzionari doganali per evitare ispezioni ai container in arrivo.
In cambio, Daji li ha pagati 5,5 mila dinari libici (poco più di 3,9 mila dollari) a container per lo sdoganamento, pagamento che avveniva presso il deposito affittato da Daji.
Una volta che ai commercianti libici venivano consegnati i “beni legali”, come biscotti e succhi di frutta, i container restavano nel magazzino dove si procedeva a smantellare il doppio fondo e a estrarre le droghe lì nascoste.
I collaboratori di Daji, Saad e Ajjan, hanno dichiarato agli inquirenti di avere operato sotto pagamento da parte di Daji, 10 mila dollari a testa per ogni container. I due avvolgevano la droga nelle coperte, la impacchettavano in scatole di cartone e la carivacano su camion refrigerati che Daji guidava verso una destinazione a loro sconosciuta.
Secondo un funzionario del tribunale, Saad e Ajjan (entrambi condannati a morte per fucilazione) sono ancora in prigione.
Contattato da OCCRP, un portavoce di Al Tayr International Trading a Damasco – l’azienda che secondo il tribunale di Bengasi aveva affittato il deposito lì – ha dichiarato l’azienda estranea alla vicenda del carico illegale della Noka. Aggiungendo una informazione curiosa: il deposito apparteneva alla Nuptunus Company in Libia. Nel frattempo, nonostante l’indagine e la sentenza libica, l’azienda Al Tayr ha continuato a operare spedizioni marittime tra la Siria e la Libia, pubblicizzando il servizio anche sulla sua pagina Facebook.
Un commercio fiorente
Con l’economia di Siria e Libia a pezzi e gruppi armati e militanti che controllano parte dei loro territori, non c’è ragione di credere che il traffico del captagon rallenti da solo. In una delle ultime retate, sono state trovate in Arabia Saudita più di 5,3 milioni di pillole nascoste in una spedizione di melograni.
Muhammad Abdul Rahman Al-Fitouri, il consulente per le relazioni pubbliche del nuovo Ministro dell’Interno libico Khalid Tijani Mazen, ha spiegato a OCCRP che non si aspetta che il contrabbando cessi, nonostante il nuovo governo unitario insediato con un accordo di pace tra Haftar e il governo di Tripoli. Il Ministro dell’Interno ha dichiarato che anche passi semplici come «installare macchine a raggi x nei porti libici per rilevare il contrabbando» sono difficili per le autorità al momento.
In una delle ultime retate, sono state trovate in Arabia Saudita più di 5,3 milioni di pillole nascoste in una spedizione di melograni
Quanto ad Alkayali, è uscito relativamente indenne dal caso Noka: mentre gode della protezione della famiglia Assad continua a gestire il suo bar a Latakia dove attracca anche uno yacht privato di sedici metri.
Il porto turistico, appartiene alla società siriana per gli investimenti e lo sviluppo, di cui metà delle azioni sono detenute dal cugino del Presidente Bashar Al-Assad, Mudar Al-Assad.
Anche se il padre di Mudar, Rifaat Al-Assad, andò in esilio dopo un tentativo di colpo di Stato fallimentare nel 1984 contro il fratello (l’ex Presidente Hafez Al-Assad), sembra non esserci alcuna rivalità tra Mudar e l’attuale regime.
Interpellato riguardo la sua relazione con Mudar, Alkayali lo ha descritto come «un amico che sono onorato di avere», ma ha negato che vi fossero legami commerciali. OCCRP ha cercato di contattare Mudar tramite una raccomandata spedita alla sua azienda di Damasco per avere un commento, ma la consegna della raccomandata è stata rifiutata.
Alla domanda su Maher Al-Assad, il fratello del Presidente che guida la Quarta Divisione che controlla Latakia in una morsa militare, Alkayali ha dichiarato che sarebbe «un onore» incontrarlo un giorno.