In balìa del mare e dell’emergenza sanitaria
La Stella Maris di Genova è lo storico club che ospita i marittimi di passaggio. È chiuso dall’inizio della pandemia, ma i volontari continuano ad assistere gli equipaggi, che hanno sempre più bisogno

Testi: Lorenzo Bagnoli
Foto: Alessandro Rota

Con la pandemia, per molti equipaggi è stato impossibile lasciare l’imbarcazione su cui erano a bordo, nonostante fossero terminati i loro contratti e si fosse andati ben oltre il limite massimo di undici mesi consecutivi di lavoro. Alcuni sono a bordo da oltre 18 mesi senza poter scendere a terra. È un fenomeno globale, che sta rientrando solo parzialmente con la vaccinazione di massa nei Paesi più ricchi: per la gran parte degli equipaggi scendere in un Paese straniero, però, è ancora un problema. La crisi sanitaria è stata la scusa per diverse compagnie marittime per dichiarare fallimento in modo da non pagare gli stipendi ai loro dipendenti, soprattutto i marittimi. Il nesso tra gli abbandoni degli equipaggi e l’emergenza Covid è ancora oggetto di ricerche da parte dei sindacati dei marittimi che stanno cercando di contenere entrambe queste crisi.

Il mare è una frontiera di traffici che spesso raccontiamo su IrpiMedia. Questa volta i protagonisti sono da un lato coloro che offrono rifugio agli equipaggi in viaggio, dall’altro i sindacalisti che cercano di farli tornare a casa, possibilmente anche con la paga pattuita.

23 Giugno 2021

Vancouver, Canada, prima della partenza. Alcuni membri dell’equipaggio si dirigono in auto verso la loro imbarcazione

12 settembre 2020

Sacro e profano. Il tavolo della sala ricreativa di una portacontainer: a destra, il Nuovo Testamento in birmano; al centro, il numero di Playboy Russia del luglio 2013; a sinistra, il numero del gennaio 1998 del National Geographic

14 settembre 2020

L’equipaggio di una portacontainer è pronto a salpare dal porto di Vancouver, Canada
15 settembre 2020
Il ponte di comando durante la navigazioni di una portacontainer, al termine del turno notturno
17 settembre 2020

Il tavolo da biliardo e il calcio balilla sonnecchiano coperti da un telo. Adesivi sui sofa indicano – timidamente – dove sedersi e dove no. La copertina del National Geographic dal titolo Indispensabili Virus svetta, inesorabile, dalle pile di giornali e riviste ammonticchiate sul tavolino. È metà febbraio 2021, ma potrebbe essere un qualunque momento del 2020. Fuori c’è Genova che indossa un cielo carico di pioggia. Il terminal traghetti al di là della sopraelevata che cuce il levante con il ponente della città è semi-immobile nell’ozio della pandemia. Il porto che si lascia intravedere dalle finestre sembra quasi in imbarazzo a stare tanto in silenzio.

Lo stanzone centrale del club per marinai Stella Maris oggi è popolato di ricordi. Li evoca Eros, 35 anni, undici dei quali passati come volontario della «casa lontano da casa», come recita lo slogan dell’associazione. Ha il viso pingue, incontrovertibilmente ospitale, la voce calda e familiare che lascia intendere quanto ami quella situazione da storie intorno al focolare. È uno dei circa cinquanta volontari «dai 16 agli 89 anni» della Stella Maris di Genova. Spiega che l’associazione è diretta dalla Conferenza episcopale italiana (Cei), l’assemblea permanente dei vescovi italiani. Esistono centinaia di sedi come questa sparse in 70 Paesi del mondo.

Lo scopo dell’organizzazione è rappresentare l’apostolato del mare, l’impegno della chiesa per la gente di mare. Per quanto ben retribuita, la categoria dei marittimi è infatti tra le più esposte allo sfruttamento lavorativo. La concezione dei diritti dei lavoratori, nonostante le convenzioni internazionali esistenti, è molto diversa da Paese a Paese. Per fare un esempio, un equipaggio filippino che lavora su una portacontainer che batte bandiera liberiana ha condizioni di lavoro peggiori di quelle di un equipaggio greco o italiano a bordo di un’imbarcazione che batte bandiera italiana. Ogni imbarcazione infatti applica le leggi del lavoro dello Stato di cui batte la bandiera.

Lo stanzone centrale del club per marinari Stella Maris di Genova Dinegro – 18 febbraio 2021

Vecchio cartello con le indicazioni per raggiungere la Stella Maris di Genova, nei pressi della Stazione marittima – 18 febbraio 2021

Bandiere come quella liberiana, panamense, mongola, maltese, cipriota, moldava e di tante altre nazioni battono sulle imbarcazioni mondiali molto di frequente per via delle condizioni favorevoli che offrono agli armatori: costi di iscrizione al registro navale bassi, requisiti per i contratti di lavoro minimi, possibilità o meno di security armata a bordo, standard igienici sottozero, possibilità di turni di lavoro anche al di fuori dei limiti delle convenzioni internazionali. Questi vessilli vengono definiti “bandiere di comodo”, di cui il sindacato internazionale dei marittimi (Itf) ha anche stilato una lista.

Il circolo per marittimi di Stella Maris rappresenta quindi l’approdo di qualche ora degli equipaggi che non sanno dove andare e che hanno bisogno di qualunque forma di conforto in una terra lontana migliaia di chilometri da casa propria. È il loro riferimento quando hanno bisogno di parlare con qualcuno, di mettersi in contatto con sindacalisti che possono aiutarli a recuperare mesi di stipendi arretrati, di un medico che li controlli, di un prete con cui confessarsi, dell’indicazione di dove si trova la moschea più vicina.

Bandiere di comodo

La lista dei Paesi le cui bandiere sono considerate “di comodo” dal sindacato internazionale dei marittimi (Itf).

Il lavoro di sostegno svolto da Stella Maris è riconosciuto dal Comitato territoriale del Welfare della Gente di Mare, branca genovese dell’organismo nazionale preposto ad affrontare le questioni che riguardano il benessere dei marinai. In ogni città riunisce gli operatori del porto, le associazioni di categoria di piloti e agenti marittimi, i sindacati, i Comuni, le diverse autorità portuali e, appunto, le organizzazioni come Stella Maris. Il tavolo nazionale e quelli cittadini si occupano di garantire il rispetto dei diritti degli operai del mare, riconosciuti dall’Organizzazione internazionale del lavoro nel 2006 attraverso una convenzione (Maritime labour convention, Mlc 2006) ratificata solo nel 2013 e implementata nel 2014. È la carta fondamentale dei diritti dei marittimi. La convenzione, nel 2019, è stata ratificata da 97 Paesi ma mancano all’appello nazioni come Israele, Stati Uniti, Egitto, Messico, Emirati Arabi, Colombia, Bolivia, Perù e tanti altri.

Genova, piazza Dinegro. Veduta sulla Chiesa di San Teodoro e sulla sede della Stella Maris – 18 febbraio 2021

Pilotina, piccola imbarcazione con a bordo i piloti che salgono a bordo delle navi per effettuare le manovre nei porti, in navigazione nel porto antico di Genova – 18 febbraio 2021

Eros ricorre ai ricordi da quando la casa dell’associazione non può più accogliere nessuno dei marittimi che si fermano al porto di Genova per via delle normative anti-covid imposte in Italia. «Non sappiamo quando riapriremo il club», dice Eros. Evoca lontane presenze che hanno calpestato queste piastrelle anni addietro: un comandante turco venuto a trascorrere in compagnia la vigilia di Natale, un comandante georgiano che aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i tormenti di una vita da fedifrago, un marinaio filippino che non riusciva a mettersi in contatto con la propria famiglia e un altro connazionale che, prima che arrivassero gli smartphone, ha visto per la prima volta il volto del proprio figlio dalla webcam del computer. «È questo alla fine quello a cui serviamo», dice Eros.

Visite a bordo

Oltre a ospitare i marittimi, i volontari della Stella Maris svolgono delle visite a bordo delle navi che arrivano a Genova. L’appartenenza al Comitato del Welfare li rende agenti accreditati a spostarsi in tutto il porto. «Se ci sono limitazioni, sono legate a cosa trasporta una nave», spiega Riccardo, 25 anni, marittimo di professione e volontario di Stella Maris quando non è per mare. I portuali di Genova in alcuni di quei terminal avevano organizzato proteste per interrompere la rotta delle navi della compagnia nazionale saudita Bahri. Le navi trasportano abitualmente armamenti dagli Stati Uniti via Germania e Italia fino all’Arabia saudita. Secondo la denuncia di ong come Rete Disarmo, i carichi sono stati impegnati nella guerra in Yemen.

Solidarietà marittima

Le nazionalità dei membri degli equipaggi accolti e aiutati dai volontari di Stella Maris negli ultimi tre anni

Questo divieto d’accesso è paradossale visto che i volontari di Stella Maris non hanno altra preoccupazione se non sincerarsi delle necessità degli equipaggi. Nel corso degli anni hanno adottato diverse strategie per incrinare il fisiologico muro di diffidenza che si frappone tutte le volte tra le loro intenzioni e un nuovo equipaggio: «Per esempio, ogni volta che saliamo a bordo consegnamo dei volantini, per dare delle informazioni di base in lingue diverse», annota Riccardo. Ogni volta che s’imbarca con la memoria, si accerta che la troppa eccitazione non lo faccia parlare troppo in fretta. Prosegue: «All’inizio della pandemia avevamo anche preparato un kit con mascherine e gel perché dei marittimi ci avevano detto che non tutti riuscivano ad averle a bordo».

Moto d’acqua di fronte al bacino di carenaggio del porto di Freeport, nelle isole Bahamas – 1 novembre 2020

Il porto di Ensenada, Messico – 24 settembre 2020

In Italia le visite a bordo sono state sospese da metà marzo a metà maggio 2020. A parte quei due mesi, l’attività ha comunque resistito al lockdown. A lungo infatti è stata l’unica possibilità per i marittimi di vedere qualcuno al di fuori degli altri membri dell’equipaggio. Con il decreto presidenziale del 2 marzo 2021, il provvedimento che ha cominciato lentamente ad allentare le normative anticovid, è stato introdotto anche il Protocollo per raggiungere una nave per l’imbarco, per la libera uscita e per lasciare una nave per il rimpatrio che per le libere uscite prevede ancora la discrezionalità per ogni Stato e per ogni porto. Di fatto, prima di allora, la situazione era ancora peggiore: è stato possibile scendere solo ed esclusivamente in certi casi eccezionali farsi rimpatriare per qualche motivo di urgenza.

Abbandonati

Gli equipaggi abbandonati dai proprietari delle navi

Il modo in cui impedire lo sbarco è revocare ogni concessione dei lasciapassare per il porto, gli shore pass, visti rilasciati dalla polizia di frontiera che sono validi dalle 8 alle 22. La loro concessione è prevista dalla Convenzione internazionale sul lavoro marittimo a salvaguardia del benessere e della salute mentale degli equipaggi. Senza, chiunque scenda a terra può essere fermato per immigrazione irregolare e di fatto diventa prigioniero a bordo della sua stessa nave.

Il tema della limitazione dei lasciapassare però precede l’emergenza sanitaria: capita infatti che polizie di frontiera non concedano in alcuni porti i documento per lo sbarco sulla base della presunzione di una maggiore pericolosità di persone che hanno un certo passaporto. Barcellona ricorda il caso di marittimi pakistani e indonesiani a cui era negato l’accesso a diversi porti europei dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001.

Regali di Pasqua da portare a bordo agli equipaggi durante le visite – 18 febbraio 2021

Kit di salvataggio della nave Avantis esposto alla Stella Maris di Genova – 18 febbraio 2021

Un’emergenza globale

Secondo le stime dell’Ilo, a marzo erano circa 200 mila i lavoratori del mare ancora bloccati a bordo delle loro navi con il contratto scaduto. A settembre 2020 erano 400 mila. La situazione peggiore è quella dei marittimi indiani, i quali rappresentano il 15% del totale. L’impennata di contagi in India ha bloccato i rimpatri. Diversi porti di transito, come ad esempio Singapore, hanno vietato lo sbarco ai marinai indiani. Da maggio esiste un fondo per il rimpatrio dei marittimi bloccati a bordo dal valore di un milione di dollari a cui ha contribuito primariamente l’organizzazione umanitaria The Seafarers’ Charity, con il supporto di The Mission to Seafarers, Iswan, Sailors’ Society e anche della fondazione Stella Maris. Sono alcune delle organizzazioni d’ispirazione religiosa che si occupano di marittimi. Organizzazioni del genere sono anche del tutto laiche.

Il mancato scambio tra equipaggi durante la pandemia rappresenta il costo umano per aver continuato a trasportare merci. Come nota in un report del dicembre 2020 l’Organizzazione internazionale del Lavoro, facente parte delle Nazioni Unite, il 90% dei commerci mondiali si muovono via mare.

«Durante la pandemia – spiega Fabrizio Barcellona, coordinatore del sindacato ITF – diversi porti e autorità portuali hanno limitato o vietato il congedo a terra per i marittimi internazionali e questo è del tutto inaccettabile». Queste restrizioni durano ancora oggi e hanno avuto effetti molto negativi sulle condizioni dei marittimi che in alcuni casi «sono stati intrappolati a lavorare a bordo per più di un anno». La conseguenza più impattante è stato condizionare l’accesso alle cure mediche: a un marinaio che navigava nel Sudest asiatico è venuto un ictus quando era a bordo ma il porto sicuro per lo sbarco è stato concesso solo al terzo tentativo, dopo 52 ore di navigazione. Il cadavere di un marittimo taiwanese deceduto durante la navigazione si trova da tre mesi in una cella frigorifera in Cina perché le autorità locali accettano di inviare il corpo solo dopo la cremazione, quando invece i familiari vorrebbero garantirgli una sepoltura differente. Situazioni del genere si verificano anche in Brasile, Argentina e in alcuni porti europei.

Il diacono Massimo Franzi, presidente della Stella Maris di Genova, insieme a Riccardo, uno dei volontari – 18 febbraio 2021
Riconoscimenti e cimeli conservati alla Stella Maris di Genova – 18 febbraio 2021

Laddove un Paese non ha ratificato la convenzione internazionale per i lavoratori del mare, la sopra citata Mlc, è ancora più difficile intervenire per i sindaci. La soluzione spesso deve passare per vie diplomatiche con il coinvolgimento di ambasciate e funzionari delle agenzie delle Nazioni Unite Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) e Imo (Organizzazione internazionale marittima). «Il modo più veloce e sicuro per tornare al regolare cambio dell’equipaggio e al congedo a terra – aggiunge Barcellona – è quello di avere un accesso universale ai vaccini per tutti i marittimi, da qualunque parte del mondo essi provengano», esprimendo così la posizione ufficiale dei marittimi nei tavoli di trattative internazionali per la gestione della pandemia.

I memorabilia più pregiati sono al piano di sopra, sede della parte più spirituale di Stella Maris. Dalla destra, filtra sullo stretto corridoio la luce blu delle vetrate della cappella. Davanti si apre lo stanzone delle riunioni, con al centro un tavolo pieno di conigli rosa. Sono sacchetti dentro i quali i volontari hanno messo dolciumi e caramelle da consegnare a bordo: la Pasqua si sta avvicinando e c’è bisogno di leggerezza. Sulla destra, accanto all’ingresso, un mobile con due ante di vetro raccoglie targhe commemorative e gagliardetti: premi vinti, partecipazioni a eventi internazionali, riconoscimenti. Di poco a lato, una vetrinetta a una colonna contiene Madonne e immagini sacre. Su un piano ci sono anche gli oggetti che vengono dal tabernacolo della Costa Concordia, la nave da crociera naufragata a largo dell’isola del Giglio nel gennaio 2012. In cima, troneggia la campana donata dall’equipaggio della Audacius, una motonave con a bordo un equipaggio tutto di ucraini, aiutato dalla Stella Maris nel 2007. Ora destinata a oggetto puramente ornamentale, quando si trova a bordo la campana rappresenta simbolicamente l’anima di una nave. Donarla equivale ad affidare a qualcuno il suo spirito, in segno di stima e riconoscenza.

Non è tra questi oggetti, tuttavia, la più incredibile delle storie della Stella Maris. La racconta infatti lo stralcio di un giornale appeso alla parete opposta. Lo indica il diacono Massimo Franzi, presidente dell’associazione, mentre stringe tra le dita un sigaro ormai consumato. Occhiello: «Un giornale sovietico “accusa”». Titolo: «Ballerine del Vaticano per sedurre i marinai». L’anno è il 1975. Il Giornale diretto da Indro Montanelli dà conto di una notizia apparsa su Vodiny Transport (Trasporto su acqua), foglio sovietico della marina mercantile. Secondo Mosca «alcune missioni occidentali per i marittimi tentano di fare opera di sovversione presso marittimi sovietici all’estero servendosi dell’alcool, di donne e dell’indottrinamento politico». Alla Stella Maris di Genova, in particolare, «i marittimi sono stati trattati con “danze, giochi e una lotteria dopo i quali è stata organizzata una cena per alleviare i loro spiriti e alla quale erano presenti ragazze semisvestite di dubbio comportamento”». Un intrigo internazionale. Anzi, banale propaganda: anche all’epoca il motto era «la tua casa lontano da casa», con buona pace dei sovietici e delle campagne di disinformazioni da Guerra Fredda.

Le foto di questo articolo sono state realizzate da Alessandro Rota.

La parte di Genova è stata scattata appositamente per questo articolo, le altre sono invece una selezione di A/R Cargo, reportage fotografico scattato da Alessandro durante i suoi viaggi a bordo di petroliere tra Europa e Americhe, da settembre a novembre 2020

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14 settembre 2020
L’alba sull’Oceano Pacifico settentrionale
28 settembre 2020
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2 ottobre 2020
Porto di Houston, Stati Uniti. Un rimorchiatore aiuta una nave portacontainer a lasciare la banchina
12 ottobre 2020

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Foto

Alessandro Rota

Infografiche & Mappe

Lorenzo Bodrero

Editing

Luca Rinaldi

In balìa del mare e dell’emergenza sanitaria
La Stella Maris di Genova è lo storico club che ospita i marittimi di passaggio. È chiuso dall’inizio della pandemia, ma i volontari continuano ad assistere gli equipaggi, che hanno sempre più bisogno
23 Giugno 2021

Con la pandemia, per molti equipaggi è stato impossibile lasciare l’imbarcazione su cui erano a bordo, nonostante fossero terminati i loro contratti e si fosse andati ben oltre il limite massimo di undici mesi consecutivi di lavoro. Alcuni sono a bordo da oltre 18 mesi senza poter scendere a terra. È un fenomeno globale, che sta rientrando solo parzialmente con la vaccinazione di massa nei Paesi più ricchi: per la gran parte degli equipaggi scendere in un Paese straniero, però, è ancora un problema. La crisi sanitaria è stata la scusa per diverse compagnie marittime per dichiarare fallimento in modo da non pagare gli stipendi ai loro dipendenti, soprattutto i marittimi. Il nesso tra gli abbandoni degli equipaggi e l’emergenza Covid è ancora oggetto di ricerche da parte dei sindacati dei marittimi che stanno cercando di contenere entrambe queste crisi.

Il mare è una frontiera di traffici che spesso raccontiamo su IrpiMedia. Questa volta i protagonisti sono da un lato coloro che offrono rifugio agli equipaggi in viaggio, dall’altro i sindacalisti che cercano di farli tornare a casa, possibilmente anche con la paga pattuita.

Vancouver, Canada, prima della partenza. Alcuni membri dell’equipaggio si dirigono in auto verso la loro imbarcazione – 12 settembre 2020
Sacro e profano. Il tavolo della sala ricreativa di una portacontainer: a destra, il Nuovo Testamento in birmano; al centro, il numero di Playboy Russia del luglio 2013; a sinistra, il numero del gennaio 1998 del National Geographic – 14 settembre 2020
L’equipaggio di una portacontainer è pronto a salpare dal porto di Vancouver, Canada – 15 settembre 2020
Il ponte di comando durante la navigazioni di una portacontainer, al termine del turno notturno – 17 settembre 2020

Testi: Lorenzo Bagnoli
Foto: Alessandro Rota

Il tavolo da biliardo e il calcio balilla sonnecchiano coperti da un telo. Adesivi sui sofa indicano – timidamente – dove sedersi e dove no. La copertina del National Geographic dal titolo Indispensabili Virus svetta, inesorabile, dalle pile di giornali e riviste ammonticchiate sul tavolino. È metà febbraio 2021, ma potrebbe essere un qualunque momento del 2020. Fuori c’è Genova che indossa un cielo carico di pioggia. Il terminal traghetti al di là della sopraelevata che cuce il levante con il ponente della città è semi-immobile nell’ozio della pandemia. Il porto che si lascia intravedere dalle finestre sembra quasi in imbarazzo a stare tanto in silenzio.

Lo stanzone centrale del club per marinai Stella Maris oggi è popolato di ricordi. Li evoca Eros, 35 anni, undici dei quali passati come volontario della «casa lontano da casa», come recita lo slogan dell’associazione. Ha il viso pingue, incontrovertibilmente ospitale, la voce calda e familiare che lascia intendere quanto ami quella situazione da storie intorno al focolare. È uno dei circa cinquanta volontari «dai 16 agli 89 anni» della Stella Maris di Genova. Spiega che l’associazione è diretta dalla Conferenza episcopale italiana (Cei), l’assemblea permanente dei vescovi italiani. Esistono centinaia di sedi come questa sparse in 70 Paesi del mondo.

Lo scopo dell’organizzazione è rappresentare l’apostolato del mare, l’impegno della chiesa per la gente di mare. Per quanto ben retribuita, la categoria dei marittimi è infatti tra le più esposte allo sfruttamento lavorativo. La concezione dei diritti dei lavoratori, nonostante le convenzioni internazionali esistenti, è molto diversa da Paese a Paese. Per fare un esempio, un equipaggio filippino che lavora su una portacontainer che batte bandiera liberiana ha condizioni di lavoro peggiori di quelle di un equipaggio greco o italiano a bordo di un’imbarcazione che batte bandiera italiana. Ogni imbarcazione infatti applica le leggi del lavoro dello Stato di cui batte la bandiera.

Lo stanzone centrale del club per marinari Stella Maris di Genova Dinegro – 18 febbraio 2021
Vecchio cartello con le indicazioni per raggiungere la Stella Maris di Genova, nei pressi della Stazione marittima – 18 febbraio 2021

Bandiere come quella liberiana, panamense, mongola, maltese, cipriota, moldava e di tante altre nazioni battono sulle imbarcazioni mondiali molto di frequente per via delle condizioni favorevoli che offrono agli armatori: costi di iscrizione al registro navale bassi, requisiti per i contratti di lavoro minimi, possibilità o meno di security armata a bordo, standard igienici sottozero, possibilità di turni di lavoro anche al di fuori dei limiti delle convenzioni internazionali. Questi vessilli vengono definiti “bandiere di comodo”, di cui il sindacato internazionale dei marittimi (Itf) ha anche stilato una lista.

Il circolo per marittimi di Stella Maris rappresenta quindi l’approdo di qualche ora degli equipaggi che non sanno dove andare e che hanno bisogno di qualunque forma di conforto in una terra lontana migliaia di chilometri da casa propria. È il loro riferimento quando hanno bisogno di parlare con qualcuno, di mettersi in contatto con sindacalisti che possono aiutarli a recuperare mesi di stipendi arretrati, di un medico che li controlli, di un prete con cui confessarsi, dell’indicazione di dove si trova la moschea più vicina.

Bandiere di comodo, l’ineguaglianza in mare

La lista dei Paesi detentori delle bandiere di comodo, simbolo dello sfruttamento del personale di bordo, stilata dal sindacato internazionale dei marittimi (Itf)

Il lavoro di sostegno svolto da Stella Maris è riconosciuto dal Comitato territoriale del Welfare della Gente di Mare, branca genovese dell’organismo nazionale preposto ad affrontare le questioni che riguardano il benessere dei marinai. In ogni città riunisce gli operatori del porto, le associazioni di categoria di piloti e agenti marittimi, i sindacati, i Comuni, le diverse autorità portuali e, appunto, le organizzazioni come Stella Maris. Il tavolo nazionale e quelli cittadini si occupano di garantire il rispetto dei diritti degli operai del mare, riconosciuti dall’Organizzazione internazionale del lavoro nel 2006 attraverso una convenzione (Maritime labour convention, Mlc 2006) ratificata solo nel 2013 e implementata nel 2014. È la carta fondamentale dei diritti dei marittimi. La convenzione, nel 2019, è stata ratificata da 97 Paesi ma mancano all’appello nazioni come Israele, Stati Uniti, Egitto, Messico, Emirati Arabi, Colombia, Bolivia, Perù e tanti altri.

Genova, piazza Dinegro. Veduta sulla Chiesa di San Teodoro e sulla sede della Stella Maris – 18 febbraio 2021
Pilotina, piccola imbarcazione con a bordo i piloti che salgono a bordo delle navi per effettuare le manovre nei porti, in navigazione nel porto antico di Genova – 18 febbraio 2021

Eros ricorre ai ricordi da quando la casa dell’associazione non può più accogliere nessuno dei marittimi che si fermano al porto di Genova per via delle normative anti-covid imposte in Italia. «Non sappiamo quando riapriremo il club», dice Eros. Evoca lontane presenze che hanno calpestato queste piastrelle anni addietro: un comandante turco venuto a trascorrere in compagnia la vigilia di Natale, un comandante georgiano che aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i tormenti di una vita da fedifrago, un marinaio filippino che non riusciva a mettersi in contatto con la propria famiglia e un altro connazionale che, prima che arrivassero gli smartphone, ha visto per la prima volta il volto del proprio figlio dalla webcam del computer. «È questo alla fine quello a cui serviamo», dice Eros.

Visite a bordo

Oltre a ospitare i marittimi, i volontari della Stella Maris svolgono delle visite a bordo delle navi che arrivano a Genova. L’appartenenza al Comitato del Welfare li rende agenti accreditati a spostarsi in tutto il porto. «Se ci sono limitazioni, sono legate a cosa trasporta una nave», spiega Riccardo, 25 anni, marittimo di professione e volontario di Stella Maris quando non è per mare. I portuali di Genova in alcuni di quei terminal avevano organizzato proteste per interrompere la rotta delle navi della compagnia nazionale saudita Bahri. Le navi trasportano abitualmente armamenti dagli Stati Uniti via Germania e Italia fino all’Arabia saudita. Secondo la denuncia di ong come Rete Disarmo, i carichi sono stati impegnati nella guerra in Yemen.

Solidarietà marittima

Le nazionalità dei membri degli equipaggi accolti e aiutati dai volontari di Stella Maris negli ultimi tre anni

Questo divieto d’accesso è paradossale visto che i volontari di Stella Maris non hanno altra preoccupazione se non sincerarsi delle necessità degli equipaggi. Nel corso degli anni hanno adottato diverse strategie per incrinare il fisiologico muro di diffidenza che si frappone tutte le volte tra le loro intenzioni e un nuovo equipaggio: «Per esempio, ogni volta che saliamo a bordo consegnamo dei volantini, per dare delle informazioni di base in lingue diverse», annota Riccardo. Ogni volta che s’imbarca con la memoria, si accerta che la troppa eccitazione non lo faccia parlare troppo in fretta. Prosegue: «All’inizio della pandemia avevamo anche preparato un kit con mascherine e gel perché dei marittimi ci avevano detto che non tutti riuscivano ad averle a bordo».

Moto d’acqua di fronte al bacino di carenaggio del porto di Freeport, nelle isole Bahamas – 1 novembre 2020
Il porto di Ensenada, Messico – 24 settembre 2020

In Italia le visite a bordo sono state sospese da metà marzo a metà maggio 2020. A parte quei due mesi, l’attività ha comunque resistito al lockdown. A lungo infatti è stata l’unica possibilità per i marittimi di vedere qualcuno al di fuori degli altri membri dell’equipaggio. Con il decreto presidenziale del 2 marzo 2021, il provvedimento che ha cominciato lentamente ad allentare le normative anticovid, è stato introdotto anche il Protocollo per raggiungere una nave per l’imbarco, per la libera uscita e per lasciare una nave per il rimpatrio che per le libere uscite prevede ancora la discrezionalità per ogni Stato e per ogni porto. Di fatto, prima di allora, la situazione era ancora peggiore: è stato possibile scendere solo ed esclusivamente in certi casi eccezionali farsi rimpatriare per qualche motivo di urgenza.

Abbandonati

Gli equipaggi abbandonati dai proprietari delle navi

Il modo in cui impedire lo sbarco è revocare ogni concessione dei lasciapassare per il porto, gli shore pass, visti rilasciati dalla polizia di frontiera che sono validi dalle 8 alle 22. La loro concessione è prevista dalla Convenzione internazionale sul lavoro marittimo a salvaguardia del benessere e della salute mentale degli equipaggi. Senza, chiunque scenda a terra può essere fermato per immigrazione irregolare e di fatto diventa prigioniero a bordo della sua stessa nave.

Il tema della limitazione dei lasciapassare però precede l’emergenza sanitaria: capita infatti che polizie di frontiera non concedano in alcuni porti i documento per lo sbarco sulla base della presunzione di una maggiore pericolosità di persone che hanno un certo passaporto. Barcellona ricorda il caso di marittimi pakistani e indonesiani a cui era negato l’accesso a diversi porti europei dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001.

Regali di Pasqua da portare a bordo agli equipaggi durante le visite – 18 febbraio 2021
Kit di salvataggio della nave Avantis esposto alla Stella Maris di Genova – 18 febbraio 2021

Un’emergenza globale

Secondo le stime dell’Ilo, a marzo erano circa 200 mila i lavoratori del mare ancora bloccati a bordo delle loro navi con il contratto scaduto. A settembre 2020 erano 400 mila. La situazione peggiore è quella dei marittimi indiani, i quali rappresentano il 15% del totale. L’impennata di contagi in India ha bloccato i rimpatri. Diversi porti di transito, come ad esempio Singapore, hanno vietato lo sbarco ai marinai indiani. Da maggio esiste un fondo per il rimpatrio dei marittimi bloccati a bordo dal valore di un milione di dollari a cui ha contribuito primariamente l’organizzazione umanitaria The Seafarers’ Charity, con il supporto di The Mission to Seafarers, Iswan, Sailors’ Society e anche della fondazione Stella Maris. Sono alcune delle organizzazioni d’ispirazione religiosa che si occupano di marittimi. Organizzazioni del genere sono anche del tutto laiche.

Il mancato scambio tra equipaggi durante la pandemia rappresenta il costo umano per aver continuato a trasportare merci. Come nota in un report del dicembre 2020 l’Organizzazione internazionale del Lavoro, facente parte delle Nazioni Unite, il 90% dei commerci mondiali si muovono via mare.

«Durante la pandemia – spiega Fabrizio Barcellona, coordinatore del sindacato ITF – diversi porti e autorità portuali hanno limitato o vietato il congedo a terra per i marittimi internazionali e questo è del tutto inaccettabile». Queste restrizioni durano ancora oggi e hanno avuto effetti molto negativi sulle condizioni dei marittimi che in alcuni casi «sono stati intrappolati a lavorare a bordo per più di un anno». La conseguenza più impattante è stato condizionare l’accesso alle cure mediche: a un marinaio che navigava nel Sudest asiatico è venuto un ictus quando era a bordo ma il porto sicuro per lo sbarco è stato concesso solo al terzo tentativo, dopo 52 ore di navigazione. Il cadavere di un marittimo taiwanese deceduto durante la navigazione si trova da tre mesi in una cella frigorifera in Cina perché le autorità locali accettano di inviare il corpo solo dopo la cremazione, quando invece i familiari vorrebbero garantirgli una sepoltura differente. Situazioni del genere si verificano anche in Brasile, Argentina e in alcuni porti europei.

Il diacono Massimo Franzi, presidente della Stella Maris di Genova, insieme a Riccardo, uno dei volontari – 18 febbraio 2021
Riconoscimenti e cimeli conservati alla Stella Maris di Genova – 18 febbraio 2021

Laddove un Paese non ha ratificato la convenzione internazionale per i lavoratori del mare, la sopra citata Mlc, è ancora più difficile intervenire per i sindaci. La soluzione spesso deve passare per vie diplomatiche con il coinvolgimento di ambasciate e funzionari delle agenzie delle Nazioni Unite Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) e Imo (Organizzazione internazionale marittima). «Il modo più veloce e sicuro per tornare al regolare cambio dell’equipaggio e al congedo a terra – aggiunge Barcellona – è quello di avere un accesso universale ai vaccini per tutti i marittimi, da qualunque parte del mondo essi provengano», esprimendo così la posizione ufficiale dei marittimi nei tavoli di trattative internazionali per la gestione della pandemia.

I memorabilia più pregiati sono al piano di sopra, sede della parte più spirituale di Stella Maris. Dalla destra, filtra sullo stretto corridoio la luce blu delle vetrate della cappella. Davanti si apre lo stanzone delle riunioni, con al centro un tavolo pieno di conigli rosa. Sono sacchetti dentro i quali i volontari hanno messo dolciumi e caramelle da consegnare a bordo: la Pasqua si sta avvicinando e c’è bisogno di leggerezza. Sulla destra, accanto all’ingresso, un mobile con due ante di vetro raccoglie targhe commemorative e gagliardetti: premi vinti, partecipazioni a eventi internazionali, riconoscimenti. Di poco a lato, una vetrinetta a una colonna contiene Madonne e immagini sacre. Su un piano ci sono anche gli oggetti che vengono dal tabernacolo della Costa Concordia, la nave da crociera naufragata a largo dell’isola del Giglio nel gennaio 2012. In cima, troneggia la campana donata dall’equipaggio della Audacius, una motonave con a bordo un equipaggio tutto di ucraini, aiutato dalla Stella Maris nel 2007. Ora destinata a oggetto puramente ornamentale, quando si trova a bordo la campana rappresenta simbolicamente l’anima di una nave. Donarla equivale ad affidare a qualcuno il suo spirito, in segno di stima e riconoscenza.

Non è tra questi oggetti, tuttavia, la più incredibile delle storie della Stella Maris. La racconta infatti lo stralcio di un giornale appeso alla parete opposta. Lo indica il diacono Massimo Franzi, presidente dell’associazione, mentre stringe tra le dita un sigaro ormai consumato. Occhiello: «Un giornale sovietico “accusa”». Titolo: «Ballerine del Vaticano per sedurre i marinai». L’anno è il 1975. Il Giornale diretto da Indro Montanelli dà conto di una notizia apparsa su Vodiny Transport (Trasporto su acqua), foglio sovietico della marina mercantile. Secondo Mosca «alcune missioni occidentali per i marittimi tentano di fare opera di sovversione presso marittimi sovietici all’estero servendosi dell’alcool, di donne e dell’indottrinamento politico». Alla Stella Maris di Genova, in particolare, «i marittimi sono stati trattati con “danze, giochi e una lotteria dopo i quali è stata organizzata una cena per alleviare i loro spiriti e alla quale erano presenti ragazze semisvestite di dubbio comportamento”». Un intrigo internazionale. Anzi, banale propaganda: anche all’epoca il motto era «la tua casa lontano da casa», con buona pace dei sovietici e delle campagne di disinformazioni da Guerra Fredda.

Le foto di questo articolo sono state realizzate da Alessandro Rota.

La parte di Genova è stata scattata appositamente per questo articolo, le altre sono invece una selezione di A/R Cargo, reportage fotografico scattato da Alessandro durante i suoi viaggi a bordo di petroliere tra Europa e Americhe, da settembre a novembre 2020

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CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Foto

Alessandro Rota

Infografiche & Mappe

Lorenzo Bodrero

Editing

Luca Rinaldi