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Da alcuni decenni ormai, i clan della ‘ndrangheta sono diventati i più importanti alleati europei dei narcotrafficanti di cocaina dell’America Latina. Dal Messico all’Ecuador, dalla Colombia al Brasile, sono moltissimi i broker della ‘ndrangheta arrestati per traffico di droga, praticamente in ogni Paese delle Americhe. Perfino l’Uruguay nel 2017 ha fermato uno dei principali narcotrafficanti calabresi, Rocco Morabito, ricercato da vent’anni e pronto a scappare di nuovo, in una serie di rocamboleschi eventi tra cui l’evasione dal tetto della prigione e la cattura in Brasile a maggio 2021, ben due anni dopo.
La ‘ndrangheta delle origini non sembrava destinata a un simile successo. Eppure, è diventata il principale fornitore di cocaina per l’Europa. Ma lo sarà per sempre? L’ascesa del gruppo mafioso è in parte dovuta alla fortuna e in parte a circostanze. E così anche il suo futuro può dipendere da situazioni imprevedibili.
La prima porta per la cocaina colombiana: il Nord America
La ‘ndrangheta è un’associazione mafiosa che è stata formata in Calabria, si crede attorno al XIX secolo. Man mano che cresceva, l’organizzazione criminale si intrecciava sempre più con la società civile calabrese, seguendone i passi durante l’emigrazione di massa dalla Calabria, causata da difficoltà economiche e sociali, e gettando le basi per la sua futura internazionalizzazione.
A partire dagli anni Sessanta, i clan accumulano grandi quantità di denaro attraverso attività legali e illegali come pizzo e rapimenti. Cosa fare con tutti quei soldi? Vent’anni dopo, negli anni Ottanta quindi, i clan calabresi che più si erano arricchiti iniziano a investire in spedizioni di cocaina dalla Colombia agli Stati Uniti, all’epoca ancora organizzate dalle famiglie di Cosa Nostra negli Usa. Presto supereranno Cosa Nostra e diventeranno egemoni.
Ma nonostante ciò e nonostante i clan della ‘ndrangheta siano riusciti a stabilire una presenza stabile in alcuni Paesi, tra cui Germania, Canada e Australia, non sono stati in grado di fare lo stesso in America Latina. Tutt’oggi, anche in Paesi come l’Argentina, meta di grandi diaspore calabresi, la presenza della ‘ndrangheta è limitata principalmente a broker che gestiscono il traffico di droga per i clan.
Il vero pioniere da questo punto di vista, è stato Roberto Pannunzi. Nato a Roma, già alla fine degli anni Ottanta si era affermato come broker indipendente in Colombia, facendo da ponte tra il Cartello di Medellín di Pablo Escobar e i clan italiani di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta. Pannunzi in pochi anni diventa un influente broker della cocaina, in grado di organizzare spedizioni di diverse tonnellate in tutta Europa. Viene arrestato due volte, e altrettante volte evade, per poi finalmente venire catturato in Colombia a luglio 2013 e successivamente estradato in Italia.
Ma mentre una volta di Pannunzi ce n’era solo uno, verso la fine degli anni ‘90 la ‘ndrangheta già poteva contare su una vera e propria rete di broker di stanza in Colombia.
Non poteva esserci momento migliore. Proprio mentre il governo statunitense intensificava la sua “guerra alla droga” per tutti gli anni ‘80 e ‘90, la domanda di cocaina aumentava in Europa. I clan della ‘ndrangheta erano in una posizione perfetta per sfruttare il mercato in crescita: le connessioni con i broker latinoamericani portavano grossi vantaggi, ma i clan calabresi godevano di un privilegio ancora più importante: il controllo del porto di Gioia Tauro.
La perfetta rotta per l’Europa
Il porto di Gioia Tauro diventa operativo nel 1995 e già durante la costruzione, la ‘ndrangheta riesce a infiltrarsi. La presenza stabile, da allora in poi, della ‘ndrangheta nel porto lo rende ideale anche per il traffico di cocaina, in quanto i clan possono offrire un ingresso sicuro ai carichi illeciti.
«Divenne la scelta più ovvia, anche per gli altri trafficanti», ha dichiarato a InSight Crime Anna Sergi, professoressa di criminologia dell’Università di Essex e specializzata in criminalità organizzata italiana. «La ‘ndrangheta divenne una sorta di garante per il traffico di cocaina in Europa perché aveva Gioia Tauro, che per anni è rimasto un varco d’ingresso intoccato dalle forze dell’ordine». A conferma, la Commissione parlamentare antimafia del 2008 ha dichiarato che la ‘ndrangheta gestiva fino all’80% delle spedizioni di cocaina in Europa.
Quattro anni dopo, un rapporto della Commissione europea giungeva a una conclusione simile, affermando che l’internazionalizzazione dell’attività della ‘ndrangheta negli anni ‘90 corrispondeva agli anni della costruzione del porto di Gioia Tauro, e illustrava come «probabile che la criminalità organizzata avesse prosperato grazie alle operazioni portuali [a Gioia Tauro, ndr]».
Negli ultimi due decenni, le forze dell’ordine e le dogane italiane hanno aumentato le operazioni di controllo e le indagini criminali attorno al porto di Gioia Tauro, prendendo di mira i principali clan che vi operano. Nel 2021, le autorità hanno sequestrato 13 tonnellate di cocaina nel porto, che rappresentano il 97% di tutta la cocaina confiscata alle frontiere italiane e circa il 20% di tutta la cocaina che transita sul territorio italiano, come ha dichiarato il questore di Reggio Calabria Bruno Megale, in un’interrogazione parlamentare di dicembre 2021.
Va comunque tenuto conto che oggi Gioia Tauro ha perso di importanza come snodo commerciale rispetto ad altri porti europei, sia per le merci legali che per quelle illegali. Per i trafficanti, i flussi commerciali legali spesso dettano le rotte più convenienti: una minore quantità di spedizioni legittime che passano per Gioia Tauro offre meno opportunità di introdurre carichi illeciti.
I trafficanti si sono quindi rivolti ai maggiori porti europei, Anversa e Rotterdam. Le autorità belghe e olandesi in questi due porti hanno sequestrato rispettivamente 89 e 70 tonnellate di cocaina nel 2021, molto più delle 13 tonnellate di Gioia Tauro.
La ‘ndrangheta sta anche affrontando una crescente concorrenza da parte di altre reti di narcotrafficanti in Europa. In Colombia, il principale Paese produttore di cocaina, le grandi organizzazioni criminali, i cartelli e i gruppi paramilitari che sono stati egemoni per decenni, si sono frammentati in fazioni più piccole. Questo ha aperto la porta ad altri gruppi criminali europei, come le organizzazioni albanesi, per trattare direttamente con i fornitori e acquistare grandi quantità di cocaina direttamente in Sud America.
La ‘ndrangheta, tuttavia, sembra ben posizionata per sopravvivere al declino dell’importanza di Gioia Tauro come porta d’ingresso della cocaina in Europa. L’infiltrazione della mafia calabrese presso altri porti italiani ha contribuito a mantenere in vita i traffici.
Nell’agosto del 2022, le autorità brasiliane hanno sequestrato oltre mezza tonnellata di cocaina destinata al terminal portuale di Vado Ligure, utilizzato come alternativa a Gioia Tauro, secondo quanto riportato da Reggio Today.
Il porto di Genova, che fa parte dello stesso gruppo portuale, è tra «i più infiltrati dalla ‘ndrangheta», ha dichiarato nel 2017 Federico Cafiero de Raho, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, come riportato in una relazione della Commissione parlamentare del 2022. Nonostante le operazioni di polizia e i sequestri presso i porti, i clan calabresi riescono sempre a organizzare nuovi carichi poiché si alleano con altri gruppi, trafficando attraverso diversi porti europei e condividendo i costi e i rischi di una spedizione.
Il legame con i paramilitari colombiani
Salvatore Mancuso, uno dei più potenti comandanti paramilitari della Colombia, e Giorgio Sale, un uomo d’affari italiano con connessioni di alto livello, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, hanno aperto un ponte tra i clan calabresi e i paramilitari colombiani, diventando ricchissimi. E dando il là a un patto criminale che sarebbe durato anche oltre la loro amicizia.
All’epoca, Mancuso era a capo delle Forze unite di autodifesa della Colombia (Autodefensas Unidas de Colombia – Auc), un’organizzazione narco-paramilitare e terroristica di estrema destra contrapposta alle FARC, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Le Auc avevano acquisito il controllo di vaste aree di produzione di coca e se da una parte servivano acquirenti per la cocaina, dall’altra servivano sapienti colletti bianchi per riciclare l’immenso guadagno.
Mancuso inizia a muoversi in prima persona per cercare un riciclatore, e trova Giorgio Sale: un imprenditore italiano con numerosi investimenti in tutta la Colombia e che godeva di buona reputazione tra i ricchi del Paese latinoamericano. Tra le sue attività figurava l’azienda di abbigliamento di lusso Gino Passcalli, con decine di negozi e oltre 600 dipendenti. Nella sua cerchia di amici, invece, vi erano diversi giudici della Corte suprema della Colombia, mentre i suoi ristoranti di alta cucina erano punti di riferimento per le élite delle principali città colombiane.
Fra tutti il più lussuoso era L’Enoteca, nella città di Barranquilla, sulla costa caraibica della Colombia. Offriva una serie di vini costosi, cibi raffinati importati dall’Italia e piatti da 150 dollari, più del salario minimo mensile colombiano dell’epoca. Secondo carte giudiziarie colombiane, il ristorante sarebbe stato finanziato anche da Mancuso per una somma pari a tre milioni di dollari e sarebbe stato determinante per il riciclaggio del denaro sporco delle Auc.
Oltre a fornire un luogo per il riciclaggio di denaro alle Auc, stando alle accuse Sale faceva rientrare in Colombia tramite muli i contanti che le Auc guadagnavano con il traffico di droga in Europa. Nel 2002, alcuni cittadini italiani sono stati arrestati mentre entravano in Colombia dall’aeroporto internazionale El Dorado di Bogotà trasportando somme di denaro tra i 120.000 e i 150.000 dollari, che le indagini hanno ritenuto appartenessero alla famiglia Sale.
Giorgio Sale e i suoi figli – David, Stefano e Cristian – si sono rivelati anche utili partner delle Auc nel traffico di cocaina. In una testimonianza resa a un tribunale degli Stati Uniti dopo la sua estradizione nel 2008, Salvatore Mancuso ha dichiarato che Cristian Sale era in contatto con Gerson Álvarez, alias “Kiko”, un leader paramilitare da cui i Sale avrebbero acquistato cocaina destinata all’Europa, e in particolare ai Paesi Bassi, Spagna e Italia.
Come si legge dalla relazione della Commissione parlamentare 2008, questo rapporto sarebbe stato fondamentale per assicurare un flusso costante di cocaina attraverso l’Atlantico e per permettere alla ‘ndrangheta di dominare gran parte del traffico di cocaina in Europa.
«La ‘ndrangheta è stata in grado di creare un solido rapporto d’affari [con le Auc], che le ha permesso di avere il controllo “maggioritario” dell’intero sistema legato al traffico di cocaina colombiana [in Europa]», ha rilevato la Commissione.
La caduta di Mancuso
Le grandi quantità di cocaina che Mancuso e Sale muovevano aveva attirato però l’attenzione della Dea, l’agenzia antidroga statunitense. Nel frattempo, il governo colombiano aveva avviato colloqui di pace con i paramilitari che avrebbero portato alla smobilitazione delle Auc. Nel 2002 un tribunale degli Stati Uniti ha accusato formalmente Mancuso di traffico di droga e ne ha chiesto l’estradizione. Le autorità colombiane inizialmente hanno accettato la richiesta, ma in seguito l’hanno messa in pausa, volendo prima portare a termine il processo di pace.
Tra il 2003 e il 2006, le Auc si sono ufficialmente sciolte. In base all’accordo stipulato con il governo colombiano, i loro leader avrebbero subito una riduzione di pena se avessero confessato i crimini commessi.
Nel 2005, Mancuso è stato uno dei primi leader delle Auc a costituirsi. Nel dicembre 2006, ha confessato il suo ruolo in massacri, corruzione e traffico di droga. A maggio 2008, è stato estradato negli Stati Uniti.
Di fronte a una potenziale lunga pena da scontare in un carcere degli Stati Uniti, Mancuso si è scagliato contro i suoi ex soci, testimoniando nel 2009 contro Giorgio e Cristian Sale, già arrestati per traffico di droga nel 2006 nell’ambito di un’indagine internazionale.
Oltre le Auc
Sebbene la relazione tra Sale e Mancuso abbia gettato le basi per una collaborazione continuativa nel traffico di cocaina, la loro caduta ha avuto un impatto limitato sulle attività della ‘ndrangheta, sia perchè né le Auc né la ‘ndrangheta trattavano esclusivamente l’una con l’altra, sia perchè dalle ceneri della Auc sono nati altri gruppi narco-paramilitari.
Vicente Castaño, uno dei fondatori delle Auc, quando queste si sono sciolte nel 2006 ha creato un suo gruppo armato che si sarebbe trasformato poi negli Urabeños, un’organizzazione criminale che è diventata una delle maggiori potenze del narcotraffico colombiano. Oggi, diversi clan della ‘ndrangheta hanno relazioni commerciali con gli Urabeños, che però è solo uno dei vari fornitori.
«Non esiste una sorta di mente unica della ‘ndrangheta che decide con chi trattare, non c’è esclusività con nessuno», ha spiegato a InSight Crime Anna Sergi, docente di Criminologia all’Università di Essex e autrice del libro Chasing the Mafia, pubblicato di recente.
Come ai tempi di Mancuso e Sale, sono i broker indipendenti a collegare le due reti. A giugno 2022, come ha raccontato IrpiMedia, un’indagine della polizia colombiana e della Guardia di finanza di Trieste ha confermato la continua relazione tra Urabeños e broker italiani che riforniscono la ‘ndrangheta, sequestrando una delle più grandi spedizioni di sempre: quattro tonnellate. Mentre, ad ottobre 2022, un’altra indagine ha smantellato una rete di portuali legati alla ‘ndrangheta che importava fino a 30 tonnellate di cocaina all’anno dal porto di Turbo in Colombia, una roccaforte degli Urabeños, fino a Gioia Tauro.
Gli Urabeños controllano ancora la maggior parte delle rotte del traffico di droga attraverso la Colombia settentrionale e sono ancora partner affidabili per i compratori italiani. Tuttavia, anche il loro potere sembra diminuire, soprattutto dopo l’arresto e l’estradizione nel 2021 del loro leader Dairo Antonio Úsuga, alias “Otoniel”.
È improbabile però che queste operazioni di polizia mettano fine a un legame ormai pluridecennale. Più volte i clan della ‘ndrangheta hanno dimostrato la resilienza del proprio modello di narcotraffico, flessibile e indistruttibile poiché basato sui broker. Veri e propri professionisti del traffico di droga, legati alla struttura criminale eppure al contempo indipendenti, invisibili, e sostituibili con facilità ad ogni arresto.
I broker della cocaina: la flessibile spina dorsale della ‘ndrangheta
Dalla sua stanza d’albergo a João Pessoa, nello stato brasiliano di Paraíba, Rocco Morabito guardava i chioschi sulla spiaggia. Sentiva il profumo della brezza arrivare dall’Oceano Atlantico, osservava i nuotatori sguazzare nelle acque blu e i bagnanti che si godevano la sabbia dorata.
Ma quando le autorità lo hanno rintracciato nel maggio 2021, Morabito non immaginava di essere in trappola. Anche se viveva con tutte le attenzioni di un latitante del suo calibro: secondo uomo più ricercato d’Italia, e broker di punta dell’omonimo clan di Africo, sulla costa Ionica della Calabria.
Morabito aveva aiutato la ‘ndrangheta a rafforzare i legami con i fornitori di cocaina dell’America Latina, favorendo l’ascesa del gruppo mafioso italiano come una delle organizzazioni di trafficanti più potenti d’Europa.
E la sua lunga latitanza, oltre vent’anni, non ne aveva interrotto le operazioni. Anzi.
Fuggito dall’Italia nel 1994, dopo avere offerto ad agenti sotto copertura milioni di dollari per comprare una tonnellata di cocaina, Morabito si rifugia in America Latina. Non un luogo qualunque, bensì il centro del suo lavoro già all’epoca. Lì, è diventato uno dei più importanti broker di cocaina operando in Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Ha inoltre svolto un ruolo fondamentale nel collegare potenti famiglie calabresi a numerose organizzazioni internazionali di narcotrafficanti.
Le autorità uruguayane l’avevano finalmente trovato e arrestato nel 2017, ma nel 2019 è evaso dal carcere di Montevideo. È stato rintracciato solo tre anni più tardi, nell’hotel di João Pessoa, dove si era recato con un altro broker della ‘ndrangheta. A luglio 2022, poco più di un anno dopo il suo arresto, le autorità brasiliane lo hanno estradato in Italia, dove sta scontando una lunga condanna.
Un manager esecutivo
Le operazioni decentralizzate tipiche della ‘ndrangheta danno ai clan la flessibilità di adattarsi agli arresti di boss e broker, limitando le ricadute sull’intera struttura criminale.
«Membri di altre organizzazioni criminali entrano in contatto solo con i referenti forniti dalla ‘ndrangheta per il narcotraffico, non vengono esposti altri membri», spiega Anna Sergi. Allo stesso tempo, ogni clan trae vantaggio dall’essere associato al “marchio” ‘ndrangheta, un “marchio di qualità” che nel mondo criminale è sinonimo di affidabilità.
«Il traffico di droga richiede molta fiducia tra le due parti. Quindi più sei affidabile, più puoi comprare. E la ‘ndrangheta è come un orologio svizzero, è sempre puntuale nei pagamenti», ha dichiarato a InSight Crime il giornalista ed esperto di mafia Sergio Nazzaro.
La struttura della ‘ndrangheta facilita anche l’ingresso di nuovi clan nel mercato della cocaina, con i clan già affermati che forniscono ai nuovi arrivati l’accesso ai broker e fungono da garanti per le spedizioni di droga. Secondo Sergi, questo sistema di riferimento ha fatto aumentare il numero di clan calabresi attivi nel traffico transnazionale di cocaina da circa 10 negli anni Novanta a 35-50 negli anni Duemila.
I boss dei clan non sempre sono direttamente coinvolti nel traffico di droga. Morabito, pur essendo uno dei più importanti trafficanti di droga in Sud America, non era il capo del clan omonimo. Gestiva in modo indipendente il narcotraffico per conto del clan Morabito, ma senza dovere chiedere l’approvazione per ogni mossa.
«Era una specie di manager esecutivo. Ma il presidente con il vero potere era un altro», afferma Sergi.
Passaggio di testimone
Morabito si è passato il testimone con altri broker calabresi in America Latina, in particolare il “torinese” Nicola Assisi. Narcotrafficante imprendibile, come ha scritto IRPI per l’Espresso nel 2016, Assisi operava come broker per più clan.
Finisce indagato per la prima volta negli anni Novanta, per un traffico di cocaina da Barcellona, in Spagna, a Torino, in Italia, e a Rotterdam, nei Paesi Bassi. Arrestato a Torino nel 1997, Assisi sconta un anno di detenzione preventiva, viene rilasciato in attesa di processo, da lì resterà operativo per anni.
Nel 2002, il primo e principale narcos della ‘ndrangheta, Pasquale Marando, scompare misteriosamente. Assisi, che era suo delfino, eredita i contatti con la rete di fornitori di cocaina colombiana di Marando, diventando un intermediario per diversi potenti clan della ‘ndrangheta a Torino. Ma nel 2007 arriva la condanna a 14 anni di carcere, condanna che spingerà Assisi a fuggire dall’Italia, prima in Spagna e poi per in America Latina.
Lì, e in particolare in Brasile, Assisi ha rapidamente stretto contatti strategici con il Primeiro Comando da Capital (Pcc) brasiliano, che organizzava la logistica attraverso i porti brasiliani, mentre altri clan della ‘ndrangheta facilitavano lo scarico della cocaina nei porti europei. Quando le autorità brasiliane hanno arrestato Assisi a San Paolo nel luglio 2019, la ‘ndrangheta ha dimostrato ancora una volta la sua flessibilità. Morabito, all’epoca appena evaso dal carcere uruguayano, sarebbe intervenuto per assicurarsi che il flusso di cocaina verso l’Europa continuasse, come hanno dimostrato IrpiMedia e Occrp. In un continuo passaggio di testimone.
Nuovi asset
Le autorità antidroga italiane ritengono che la ‘ndrangheta sia tutt’oggi una delle organizzazioni criminali più potenti e pericolose al mondo, nonostante i recenti arresti di personaggi come Assisi e Morabito. Tuttavia, i clan stanno affrontando una crescente concorrenza da parte di altre reti europee nel traffico di cocaina. Altri attori, in particolare le reti di narcos albanesi, stanno imitando il modello di narcotraffico della ‘ndrangheta e ormai operano a monte, ottenendo la cocaina alla fonte grazie a broker albanesi basati in America Latina.
«Inizialmente, gli albanesi sono stati tirati dentro dalla ‘ndrangheta per spostare semplicemente i carichi da A a B. Ma sono diventati esperti di logistica in Europa e queste reti logistiche ora appartengono principalmente a gruppi criminali albanesi», spiega Nazzaro. E di conseguenza ai clan calabresi non è restato che adattarsi, finendo per collaborare sempre più con le reti albanesi. «Gli albanesi oggi non sono concorrenti, bensì partner», aggiunge Anna Sergi.
E con un’America Latina che attualmente registra livelli record nella produzione di cocaina, le possibilità di fare affari di certo non mancano.
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